Luchino Visconti preferiva stare solo piuttosto che – diceva – “in mezzo a chi non ha niente da darti e cui non sapresti dare niente”. Dare e prendere, dare e portare via. “Vado a Torbole, alla Messa di don Vincenzo, perché almeno mi porto via qualcosa”, si confida una signora di Riva. Analoga questione solleva Paolo Malvinni, già bibliotecario, a proposito del soggiorno tutto sommato breve di Rocco Scotellaro (1923-1953) a Trento. Cosa si portò dunque via dal capoluogo il sindaco-bambino di Tricarico, “il poeta della libertà contadina”, come lo definisce Franco Vitelli e, prima di lui, Carlo Levi?

Il libro curato da Malvinni e impreziosito dai disegni di Giuseppe Palumbo, appare curiosamente in una collana rosminiana e considera vita ed opere di un promettente giovane che nella città lontana – ove si confronta col magistero morale e intellettuale di Giovanni Gozzer – si trova in qualche modo “prima del bivio”, come suona il bel titolo del volume. Peraltro “quella del bivio – nota Paola Baratter (autrice anche di un libro sul punto e virgola) – è un’immagine metaforica cara a Scotellaro e a Carlo Levi, che la adottò come cifra interpretativa della poetica dello scrittore”.

Nella stagione 1940-’41 Rocco Scotellaro frequenta, a Trento, il liceo classico “Giovanni Prati”, dove si pratica – ricorda Gozzer – “un insegnamento rigoroso, formalistico, teutonicamente grammaticale, influenzato dalla cultura bavarese-viennese”. In classe con lui c’è Alfredo Pieroni, che diverrà un noto giornalista. Quanto a Scotellaro, che ha capelli rossi e un accento diverso dai suoi compagni trentini, Gozzer assiste giorno per giorno al dischiudersi in lui di capacità e sensibilità insospettate. E Gozzer, che “partecipò attivamente a quella maturazione”, parla con cognizione di causa, riconosce Giuseppe Colangelo.

Dal canto suo Kezich  ricollega idealmente Scotellaro al Prati quale “minore dei maggiori” e ne fa il protagonista di una sorta di Imitatione Christi del tutto laica e, anzi, addirittura socialista. “Ai contadini – osserva a tal proposito Antonio Albanese – riesce difficile pensare Rocco morto: per questo corrono tante voci”. Il suo mito venne ripreso da Luchino Visconti, che s’ispirò a lui per Rocco e i suoi fratelli: Giovanni Agosti parla al riguardo di un esplicito omaggio del maestro.

Dieci anni dopo quel film Mario Sansone riconosce che “di questo poeta e intellettuale se ne parla poco, ma – aggiunge – vale molto”. Vale per Contadini del Sud, che ha fatto scuola nella letteratura delle storie di vita. Vale per l’Uva puttanella, con la sua scrittura visuale e ritmica, la  letteratura contaminata, la  sociologia poetica del Mezzogiorno. Ma la vera attualità di Scotellaro – taglia corto Franco Vitelli – è nell’identificazione tra vita e poesia, tra vita e letteratura. Non però – avverte – in senso dannunziano.

 

Ruggero Morghen