Bene. La reazione israeliana c’è stata. La ritorsione si è consumata con dei droni partiti da una qualche località imprecisata all’interno di Israele, colpendo alcuni obiettivi militari a Isfahan. A sentire gli Iraniani, pare che non se ne siano nemmeno accorti. Israele non ha rivendicato la sua ritorsione. I droni sono piovuti dal cielo. Non è stato lo Spirito Santo, perché nessuno dei contendenti è cristiano. Forse è stato l’arcangelo Gabriele.

In conclusione, il leone israeliano ha emesso un debolissimo ruggito che, a distanza, è sembrato lo squittio di un topo. Né morti né feriti, solo qualche danno, irrilevante.

Mi aspettavo tragedie greche, ma la zampa americana ha trattenuto il leone. Così, una flebile risposta senza danni ha placato la collera di Netanyahu.

Adesso siamo a posto. I bambini grandi hanno giocato, la faccia l’abbiamo salvata e tutto torna come prima. Almeno così parrebbe. Una buffonata. La guerra non si fa con gli Stati. La guerra si fa con i non Stati, come gli Hezbollah, l’Isis, Hamas, i territori palestinesi che non sono uno Stato.

Anche la Russia di Putin non è in guerra con l’Ucraina. Davvero credete che un Paese nazista come l’Ucraina sia uno Stato? No, tant’è vero che in Russia, questa, la chiamano un’operazione speciale, mica una guerra.

Alle Nazioni Unite continua il gioco delle parti. Gli Stati Uniti hanno posto il veto sulla ennesima richiesta d’inserire la Palestina fra gli Stati membri dell’organizzazione.

Francamente, non si capisce perché. Non si possono negare l’esistenza della Palestina e di una guerra in corso. Intendiamoci, non è che cambierebbero di molto le cose. La verità è che Israele non vuole un altro Stato in Palestina, perché la Palestina è e deve essere solo israeliana, costi quel che costi, anche una guerra nucleare.

Tutti dicono da tempo che la soluzione (o, almeno, un principio di soluzione) sarebbe quella di avere due Stati ma, all’atto pratico, gli Stati Uniti e i loro satelliti si oppongono. Misteri della diplomazia.

Al G7 di Capri l’ossequioso Occidente si è affrettato a varare sanzioni contro l’Iran, anche l’Italia. Sono almeno due secoli (dai tempi di Napoleone) che sappiamo che le sanzioni sono inutili, ma le vecchie idee sono dure a morire e soprattutto gli errori tendono a ripetersi.

Poi, che c’entra l’Unione europea con l’Iran? E l’Italia? Non mi pare che il regime persiano in una qualunque occasione se la sia presa con l’Italia. Il loro regime confessionale non ci piace, ma sono fatti loro.

Questa continua e pressoché obbligata osservanza ai desiderata americani, e nel caso specifico, israeliani, che senso ha? Siamo davvero tutti uniti e concordi con le pazzie di Netanyahu? Schierarsi con Israele in questo momento non porta certo alla pace.

L’Unione europea, se avesse una politica, dovrebbe essere un arbitro al di sopra delle parti, non una parte in causa. Per fare una qualunque pace si deve essere almeno in due con un paciere: una pax con la stella di David o con l’emblema palestinese non sarebbe una pace vera, ma una finzione, come credere che la Palestina non esista e che non esista una realtà statuale palestinese, buona o cattiva che sia.

L’Europa ha un indubbio senso di colpa nei confronti del mondo ebraico che ha perseguitato per secoli. Ma Israele è un’altra cosa: una realtà voluta dalla Comunità internazionale e dal sacrificio dei suoi uomini. Non si deve confondere con l’antisemitismo, perché in Israele, oltre agli Ebrei, convivono credenti di fedi diverse: Cristiani, Musulmani, Drusi e così via.

Come tutti gli Stati, Israele ha il diritto di difendersi e di offendere e, come tutti gli Stati, soggiace alle regole internazionali. I benpensanti dicono che, però, non dovrebbe esagerare.

Se Israele fosse un nostro alleato (la simpatia e il complesso di colpa non contano), dopo l’attacco iraniano dovrebbe intervenire la Nato. Ma non è un nostro alleato come non lo è l’Autorità palestinese e tanto meno Hamas. Allora, questo compatto schieramento sanzionatorio europeo è del tutto improprio.

Nel conflitto in corso l’unico Paese che abbia voce in capitolo con Israele sono gli Stati Uniti. Siamo alleati degli Stati Uniti ma non per questo i suoi nemici sono sempre i miei nemici. Anzi, se in caso di contrasto posso mediare, è meglio che stia fuori dal conflitto. Se gli Stati Uniti entrassero in conflitto con il Messico anche noi saremmo contro il Messico?

È sempre più evidente l’impotenza europea. L’aiuto europeo all’Ucraina non basta e dipende dalle decisioni del Congresso degli Stati Uniti per sbloccare i miliardi di dollari destinati agli armamenti ucraini. La decisione, peraltro molto sofferta, c’è stata e i dollari arriveranno non solo a Kiev ma anche a Gerusalemme e a Taiwan, i punti caldi del momento.

L’Unione europea non è in guerra con la Federazione russa, ma è come se lo fosse. Anche qui prevale una finzione forse necessaria. Rispetto al caso dei rapporti tra Israele-e l’Unione europea c’è almeno un fumus di legittimità, perché l’Ucraina di Zelenski vuole entrare nell’Unione europea e nella NATO. Quindi l’Europa dei Ventisette appoggia un suo futuro membro.

Il mondo cammina su un crinale pericoloso sorretto solo da finzioni. Invochiamo la pace, ma si fa poco o nulla per farla. E intanto gli armamenti arricchiscono le industrie belliche.

Il nuovo Parlamento europeo dovrebbe, una buona volta, affrontare il problema della nostra dipendenza da Washington. Se l’Europa ha un significato politico internazionale non può essere il clone degli Stati Uniti. Deve avere una sua politica. Molti sono i legami con il nostro partner d’oltre Atlantico e sarebbe sciocco negarli o indebolirli. Però, dovrebbe essere un’alleanza tra pari, cosa che non è.

Alla NATO, che dovrebbe essere l’ombrello difensivo dei Paesi dell’Unione europea, gli Stati Uniti pagano, grosso modo, il 75% delle spese. È evidente che è solo uno strumento americano. Questa situazione, maturata all’epoca della guerra fredda, quando il mondo era in bilico sulla catastrofe nucleare, aveva un senso. Oggi, finite le ideologie, anche se sostituite da politiche di rapina, questa situazione dovrebbe essere rivista.

L’indipendenza politica costa, non c’è dubbio, ma è imprescindibile dalla realtà nella quale viviamo. Allo slogan: l’America first dovrebbe affiancarsi (non opporsi) quello di l’Europa agli Europei. Forse sono solo sogni, ma sarebbe bene, una volta tanto, affrontare questo tema e uscire finalmente dalla logica del secondo dopoguerra.

Oggi, in Europa, ci sono filo russi e filo americani, filo palestinesi e filo israeliani. Questa partecipazione emotiva è bellissima, ma dove sono i filo europei?

 

Stelio Venceslai