Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, fu per quasi trent’anni un diplomatico abile, “anche se – rimarca Alberto Melloni – poco stimato nella Segreteria di Stato”. Poi egli subirà “le accuse e i dileggi della stampa fascista e della destra democristiana”. Il suo saggio sul Papa buono e il “Giornale dell’anima” lo storico reggiano lo dedica ad Enzo Bianchi “e lui sa perché” (noi purtroppo no). L’autore – scrive don Loris Capovilla nella prefazione – “ci reintroduce nel castello interiore di Papa Roncalli, uomo mandato da Dio col nome di Giovanni”.
Capovilla, che ne fu il segretario, ci tiene a precisare che il Giornale dell'anima non è, evidentemente, tutto Papa Giovanni, ma contiene quanto basta per individuarne la vocazione e la formazione, l’impegno e il successo. Lo storico reggiano lo definisce “diario in presa diretta sulla vita interiore di un ragazzo che non aveva studiato da papa, ma lo diventa”. Il libro però non piacque a Pier Paolo Pasolini che, negli Scritti corsari, dichiarava di trovare i pensieri del papa cui aveva dedicato Il vangelo secondo Matteo “sentimentali, manierati, superficiali” e confessava di chiedersi come diavolo avesse fatto a scriverli uno come lui.
Ritroviamo ad ogni modo, nel Giornale dell'anima, l’Angelino che si sottomette docilmente alla pietà del cattolicesimo postunitario, così come gliela porge l’ambiente bergamasco in cui si forma. Ecco il ruolo dello zio paterno, celibe, il barba Zaverio narratore di storie edificanti e di episodi biblici “secondo stilemi – precisa Melloni – che si avvicinano a quelli proposti da don Bosco nelle Letture cattoliche”. L’amore di Angelino per la madre, “alla quale dopo le cose del cielo, voglio il maggior bene di cui è capace il mio cuore”. Poi i contatti con l’università di Louvain, mediati dal cardinal Mercier e quelli col femminismo cattolico, rappresentato da Adelaide Coari. Ecco poi il “Papa della bontà”, come lo chiama Capovilla, che però richiede – anzi pretende – “il Papa Giovanni della realtà, non quello del mito e delle leggende”. “Io – testimonia don Loris – lo vedo come egli stesso mi si è raccontato; come mi apparve a Venezia nel 1950; come gli vissi accanto dal 1953 in poi, e nei 37 anni dalla sua morte”.
Anche Melloni contesta quella che non esita a definire “l’immagine edulcorata e castrante” del papa buono, che tanto successo peraltro ha avuto nella “retorica dei giornalisti promossi a biografi” di quell’anziano ringiovanitore della Chiesa che fu Roncalli. Lo storico emiliano conclude il suo saggio pubblicato dalla Jaca Book proponendo una rassegna di studi sul Papa buono, ma solo quelli – tiene a precisare – “maggiori e solidi”, tra cui non mancano Alberigo, Capovilla e Balducci.
Ruggero Morghen