Quando si diventa anziani, non si sta più attenti a certi dettagli. Pensavo di scrivere ad Alberto Faustini e invece dovevo rispondere ad Alberto… Folgheraiter. Pensavo di leggere Mimmo Franzinelli e invece avevo preso in biblioteca un libro di Antonio Scurati, che di lì a pochi giorni sarebbe diventato ancora più famoso di prima (per la vicenda, va da sé, di TeleMeloni).

Il suo libro, ora frettolosamente ristampato, s’intitola “Fascismo e populismo. Mussolini oggi” e si propone di raccontare la Storia, quella con la esse maiuscola, e di “raccontare il fascismo attraverso i fascisti – lo dico per i più giovani”. In effetti Scurati è perennemente alla ricerca di “nuove forme di narrazione democratica”, qualsiasi cosa questo significhi.

Da ragazzo, è vero, sognava di raccontare gli antifascisti. Poi ripiegò su Mussolini, forse più redditizio. Del resto l’autore auspica proprio “un fascio di libere visioni”. Scurati nella Storia invita a credere (anche obbedire e combattere?) e induce anche a dichiararsi colpevoli. Lui per primo: mentre cadeva il muro di Berlino, non stava mica cogli amici a farsi uno spritz? A dirla fuor dei denti, è una lettura imbarazzante, tanto che sembra di leggere Andrea Scanzi. 

“Di notte – ecco un esempio della sua prosa da Ventennio -, come una stella polare, la Storia brillava luminosa nel cielo che dimora eterno sui nostri affanni”. O anche “No. No. Tre volte no”. Parla, è vero, di “una schiera ancora più numerosa, quella delle donne e degli uomini non ancora nati”, ma naturalmente non lo fa per stigmatizzare l’aborto. Scurati non ha una grande idea della sua generazione (composta di “vacui edonisti”), ma di se stesso la stima non gli manca. La nostra civiltà per lui s’identifica tout court col trinomio (anzi trinità) “costituzione repubblica democrazia”. Riconosce, è vero, l’esistenza di prescrizioni e diktat culturali, ma il revisionismo storico che a quelli si oppone non può che essere “fazioso e odioso”.

Mussolini direttore si decurta lo stipendio? È “un tipico gesto demagogico”. I suoi articoli giornalistici? Sono ben formidabili, ma “a modo loro”. Non mancano, nel tristo libello, elementi autobiografici, di cui forse l’autore non è pienamente consapevole. “Chissà perché – scrive ad esempio magistralmente – quando uno non sa cosa fare, pensa di scrivere un romanzo”. Fa una storia aneddotica e ricorre alla comoda scorciatoia del “non è certo un caso se”. Si vanta d’aver scoperto le leggi (ben 6!) del populismo fascista, ma talvolta le declassa più modestamente a regole.

 

Ruggero Morghen