Giovanni Gronchi nasce a Pontedera (Pisa) il 10 settembre 1887 da una famiglia di modeste condizioni. Rimasto orfano di madre nel 1893 e con il padre in non buone condizioni di salute, visse un'infanzia e una giovinezza difficili. 

Il lungo periplo della vita: Pontedera, Roma e il mondo

Aveva cominciato prestissimo a frequentare gli ambienti cattolici, diventando a soli dodici anni presidente del circolo cattolico di Pontedera. Preso a ben volere dall'arcivescovo di Pisa, il conciliatorista cardinale P. Maffi, da giovanissimo  aderì al movimento democratico cristiano di Romolo Murri. Nel 1911, in seguito alla scomunica di Murri, Grochi si ritrovò al fianco di G. Donati e altri nella Lega democratica cristiana,

Laureato in lettere alla Normale di Pisa, tra il 1911 e il 1915 fu docente di lettere e filosofia a Parma, Massa, Bergamo e Monza.  Dopo la Prima guerra mondiale, cui partecipa come volontario e pluri-decorato, nel 1919 è uno dei fondatori del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo.

Eletto deputato di Pisa nelle elezioni del 1919 e nelle successive, per l'attenzione sempre mostrata ai problemi sociali e del lavoro, Gronchi apparve la persona più indicata a rinsaldare i rapporti tra l'organizzazione politica e quella sindacale dei cattolici. Nell'Aprile 1920, al I congresso nazionale della Confederazione italiana dei lavoratori (CIL), venne eletto segretario generale.

Nominato Sottosegretario all'Industria e Commercio nel 1922 (I governo Mussolini), prima di assumere l'incarico governativo, Gronchi si dimise da segretario della CIL, al cui interno la sua scelta era stata accolta con diversi distinguo. Rimase in carica  fino al Congresso di Torino del Partito Popolare (aprile 1923), dove fu decisa la non collaborazione e il ritiro dal Governo dei rappresentanti del P.P.I.

Riassunse così la guida dei sindacalisti bianchi cercando, così, di fronteggiare le violenze delle squadracce fasciste di cui le sedi popolari e delle leghe cattoliche erano quotidianamente vittime. Piero Gobetti, grande intellettuale e martire del fascismo, ebbe per lui pagine di stima e di grande considerazione nella sua rivista Rivoluzione liberale.

Quando nel 1924 Luigi Sturzo abbandona la segreteria del Partito popolare, Gronchi, assieme a Giuseppe Spataro e a Giulio Rodinò, assunse la direzione del partito nel difficile momento storico. Rieletto deputato nel 1924, passato all'opposizione, fu tra gli esponenti della scissione denominata "dell'Aventino" e venne dichiarato decaduto dal mandato parlamentare nel novembre 1926.
Ritiratosi a vita privata, rinunciò al suo posto nella scuola e fu prima rappresentante di commercio e poi si dedicò allo svolgimento di attività industriali.

A partire dal settembre 1942 svolse un ruolo rilevante nella costruzione della Democrazia Cristiana e nella definizione dei suoi indirizzi programmatici in campo sociale e sindacale. Dopo l'8 Settembre 1943 si trasferì a Roma, dove divenne membro del Comitato di liberazione nazionale, assumendo il nome di copertura di Giacomelli. Il 15 ottobre fu designato, insieme con Grandi, a rappresentare la DC nelle trattative con comunisti e socialisti per la costituzione del sindacato unitario.

E proprio insieme a Grandi si spese per valorizzare la presenza dei cattolici nel sindacato e, al tempo stesso, per far accettare al loro partito i compromessi che, il 4 giugno 1944, consentirono la nascita della Confederazione generale italiana del lavoro. Ma in seno alla DC il suo ruolo fu messo in discussione dall'emergere di una nuova tendenza sindacale, espressa da Pastore, che aveva stabilito un legame fiduciario con De Gasperi.

A seguire fu nominato Ministro dell'Industria e Commercio nel 1944 (II e III Governo Bonomi), nel 1945 (Governo Parri e I Governo De Gasperi). Eletto  successivamente Deputato all'Assemblea Costituente nel 1946 (Democrazia Cristiana) e Presidente del Gruppo parlamentare del suo partito.

Fino al maggio 1947 Giovanni Geronchi sembrò incarnare una possibile alternativa a De Gasperi, ma non arrivò mai a metterne veramente in discussione la leadership. Allorché la formula tripartita entrò in crisi  Gronchi caldeggiò "l'ipotesi di un passaggio della DC all'opposizione, esprimendo soprattutto la preoccupazione di salvaguardare l'identità del partito e la sua "anima" sociale".
Eletto  di nuovo Deputato al Parlamento nel 1948 e nel 1953, fu amico di La Pira e di Dossetti e si legò a Enrico Mattei, patron dell’Eni.
L'8 maggio 1948 venne eletto Presidente della Camera dei Deputati, ottenendo la rielezione anche nel Giugno 1953.

In occasione del decimo Anniversario della Liberazione pronunciò in Aula, il 22 aprile 1955, un discorso di altissimo livello civile e politico e per acclamazione si decide di affiggerne il testo negli albi di tutti i comuni d’Italia. Di fatto il discorso programmatico che lancerà la sua prossima più importante candidatura. Alla scadenza del mandato di Luigi Einaudi la Democrazia cristiana sceglie come candidato ufficiale alla Presidenza della Repubblica Cesare Merzagora, ma la minoranza del partito e le sinistre appoggiano la candidatura di Gronchi, che il 29 aprile 1955, al quarto scrutinio, è eletto Presidente della Repubblica, primo democristiano della storia, con 658 voti su 833 votanti, rappresentando un chiaro ricambio generazionale rispetto a De Nicola ed Einaudi, uomini dell'Italia liberale prefascista.

Scelse comunque di continuare a vivere insieme alla moglie tra le mura domestiche di via Carlo Fea, coerentemente all’opzione di riservarsi un suo spazio privato, per non restare “imbalsamato” – disse in un’intervista – nella funzione presidenziale ed isolato dal resto del Paese, poiché avrebbe cercato di avere quanti più contatti possibile con la gente.

Gronchi rivendica innanzitutto un ruolo autonomo e incisivo al Capo dello Stato. In occasione del giuramento sollecita le forze politiche a dare attuazione alla Costituzione, provvedendo all’istituzione della Corte costituzionale, del Consiglio superiore della magistratura, del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e delle Regioni.

L’alternativa alla crisi della formula centrista va ricercata, secondo il Capo dello Stato, nell’apertura ai socialisti, ma la dirigenza della DC agisce con cautela e le forzature di Gronchi, come nel caso del Governo guidato da Tambroni nel 1960, finiscono per alienargli il consenso delle opposizioni di sinistra, che fino a quel momento avevano mostrato apprezzamento per la linea del Presidente.

In politica estera sviluppa una propria iniziativa, che lo porta spesso a distinguersi da quella del Governo. Compie numerosi viaggi ufficiali all’estero; sostiene la necessità di sviluppare una politica autonoma dell’Italia nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, anche a fini di approvvigionamento energetico e si dichiara favorevole al disarmo bilanciato delle due superpotenze.

Al termine del mandato presidenziale si iscrive, in qualità di senatore a vita, al gruppo misto, ma si allontana quasi del tutto dalla vita politica. Nel 1977 in occasione dei suoi 90 anni, è acclamato membro di diritto del Consiglio nazionale della Democrazia cristiana. Muore a Roma il 17 ottobre 1978.  

La questione sociale primo e costante  amore  del Presidente

Gronchi rimane una delle figure più interessanti e forse sottovalutate della Repubblica del percorso repubblicano. Molto importante per coglierne appieno lo spessore l’insistenza sulla centralità della questione sociale e su un’idea di democrazia sostanziale – e non solo formale – secondo cui l’effettiva inclusione dei lavoratori e dei ceti più deboli società nello Stato democratico presupponeva anche una loro emancipazione economica. Questa idea  fu una cifra non solo della presidenza, ma dell’intero percorso politico di Gronchi, che non dimentichiamolo aveva alle spalle una precisa formazione sociale e, soprattutto, una non breve militanza sindacale.

La stessa sua insistenza sull’attuazione della Costituzione era in gran parte legata a queste tematiche e in parte alla necessità di applicarne le parti ancora disattese. L’interventismo presidenziale era teso anche al raggiungimento di questi obiettivi, cosa solo parzialmente avvenuta.

Tutti i Presidenti della Repubblica Italiana, da Enrico De Nicola a Sergio  Mattarella- Corriere.it

In occasione del voto di fiducia al  primo governo di Alcide De Gasperi disse  che la vera civiltà non era il progresso meccanico, se mancava la solidarietà, vuoi nel campo interno che in quello internazionale: le esigenze dello spirito andavano sempre anteposte a quelle economiche.

Nel 1954 parlando del superamento del centrismo, afferma che occorreva fare proprie le istanze delle classi lavoratrici, tramite la collaborazione del Psi, il che sarebbe stato il contributo più efficiente allo sviluppo degli istituti democratici nella direzione di un effettivo progresso sociale. Ma, allo scopo di sgombrare il campo da equivoche interpretazioni del suo dire in merito al richiamato concetto di classi lavoratrici, con il conseguente sospetto di pericolose contaminazioni marxiste, tenne a precisare che vi includeva anche i ceti medi, cioè l’intero mondo di coloro che vivevano prevalentemente del proprio lavoro.

Nel messaggio di insediamento come Presidente della Repubblica  parlò della ripresa post-bellica, resa possibile anche dall’aiuto del popolo americano, e sostenne che occorreva ora valorizzare soprattutto il ruolo delle masse lavoratrici e dei ceti medi, che il suffragio universale aveva condotto sino alle soglie dell’edificio dello Stato, senza peraltro introdurli effettivamente nella gestione politica della cosa pubblica.

La vita economica, in particolare, doveva favorire una dimensione solidaristica che garantisse, al contempo, il pieno esercizio delle libertà individuali e l’iniziativa privata, eliminando la contraddizione tra l’immensa utilità che si deduceva dal sano svolgersi dell’iniziativa privata medesima, e l’osservanza dei diritti più sacri della giustizia e della libertà umana. Bisognava dunque combattere i monopoli, porre attenzione al problema dell’occupazione ed impedire l’accentuarsi dei dislivelli economici tra Nord e Sud, con dei programmi di dettaglio la cui elaborazione non spettava certo al capo dello Stato, ma al Parlamento, istituzionalmente promotore dell’evoluzione dell’ordinamento giuridico, tenuto a seguire le trasformazioni delle strutture economiche e sociali

Grande attenzione Gronchi riservò anche alla cultura in senso lato. Per lo statista essa andava a costituire un valore aggiunto sotto il profilo della qualificazione professionale, perché  non significava solo rendimento in senso economico, ma anche morale ed intellettuale. Pertanto, la lotta all’analfabetismo non si vinceva soltanto insegnando a scrivere alla meglio il proprio nome, ma offrendo gli elementi di base a che almeno una certa luce di coscienza creasse capacità di discernimento affinché le masse popolari facili non divenissero prede di suggestioni autoritarie.

Commentando il discorso in questione, Piero Calamandrei disse che il presidente esaltando la centralità del popolo nella vita sociale, si era rivelato come Viva vox constitutionis”.

Presidente interventista e scomodo in un mondo che cambia

La sua elezione alla presidenza della Repubblica rappresentò un punto di frizione importante nel partito democristiano, dove le correnti interne avevano trovato ormai una propria precisa cristallizzazione. Questa avveniva, peraltro, in un momento di trasformazione a livello nazionale ed internazionale particolarmente significativo, con molte ricadute sugli equilibri complessivi del sistema politico italiano e, più generalmente, sull’assetto della guerra fredda.

Fin dall’inizio, con il suo discorso di insediamento, si capì subito che Gronchi sarebbe stato un presidente scomodo, sicuramente autonomo e non legato agli interessi di un partito. La sua elezione fece storcere la bocca agli Stati Uniti, che lo consideravano troppo poco atlantico, ma paradossalmente anche l’Unione sovietica non lo avrebbe amato. Tra i suoi sostenitori, inoltre, Gronchi ebbe, come detto, Enrico Mattei, potentissimo presidente della neonata Eni, che giocherà un ruolo sempre più importante nella politica italiana, con forti influenze nelle questioni estere.

L’attivismo italiano, rilanciato da Gronchi, rispondeva alla convinzione di avere ora nuovi spazi di manovra che consentissero di proporsi più incisivamente sul piano delle relazioni internazionali.

Egli si distinse così dai precedenti capi di stato per aver rivendicato un maggior ruolo della presidenza nella vita politica. Tramite un sapiente uso delle prerogative costituzionali, Gronchi caratterizzò il suo mandato con un attivismo inedito, capace di influenzare gli equilibri interni e ribadire il ruolo dell’Italia nel panorama internazionale.

Fortemente critico della partitocrazia (in alcuni discorsi parlò apertamente di dittatura dei partiti), Gronchi era stato eletto al Colle proprio in virtù di un gesto di ribellione che, in occasione del voto a camere riunite, aveva fatto saltare le discipline di partito. E sfidò il suo stesso partito, la Dc, nell’affidare alcuni incarichi per formare il governo (ad Antonio Segni), sia volendo dettare la linea in politica estera, ma anche in quella interna, spingendo verso un’effettiva apertura alle masse (di fatto il via libera all’asse Dc-Psi).

Fedeltà alle scelte delle origini per una “democrazia sostanziale”

Nella vita politica di Gronchi, significativa ed intensa, comunque guidata da una bussola sostanzialmente ferma,  non erano però mancate incoerenze, contraddizioni, che peraltro non ne scalfirono la dimensione di Statista sensibile ed acuto. Questo suo profilo, complesso e non facilmente inquadrabile entro schemi politicamente rigidi, lo rese oggetto anche di celebri frecciate ironiche, come quella indirizzatagli da Saragat, che giocò su un celebre paragone, non certo benevolo: “Abbiamo finalmente anche noi il nostro Peròn italiano. Il Peròn di Pontedera”.

Gronchi fu molto dinamico e compie numerosi viaggi ufficiali all’estero; sostenne la necessità di sviluppare una politica autonoma dell’Italia nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, anche a fini di un più autonomo approvvigionamento energetico. Si impegnò con forza nel portare a compimento  un nuovo assetto continentale  ed  internazionale, alla realizzazione dell’Europa unita, del superamento dei blocchi Est-Ovest e per il disarmo bilanciato delle due superpotenze. Gronchi non  rinunciò però ad esaltare contestualmente il valore morale, civile e politico della Patria, da lui amata fin dai campi di battaglia della Prima Guerra mondiale. Una Patria non astratta e retorica, ma espressione reale in cui tutti dovevano veder concretizzati diritti elementari, come quello alla salute, al lavoro ed all’ istruzione.

Alla cerimonia di commemorazione del 40° anniversario della sua scomparsa, Sergio Mattarella ne ricordò la “salda risolutezza nella coerenza con le scelte politiche e sociali delle origini”, mirante al passaggio dalla “democrazia formale” alla “democrazia sostanziale” e l’impegno europeista. A Gronchi – disse il presidente Matterella – “il merito di avere contribuito alla costruzione di un’Italia protagonista nella comunità internazionale, di un Paese più prospero e più giusto, di una Costituzione materiale capace di integrare i ceti popolari nella vita democratica. Il merito di aver saputo accompagnare il nuovo che si manifestava nella vita del Paese; in piena aderenza agli obblighi del mandato affidatogli”.

Franco Banchi