L’impetuoso irrompere sulla scena internazionale della pandemia prima e della crisi ucraina, poi, hanno dato una forte accelerazione alle dinamiche di politica estera, contribuendo a movimentare il vecchio ordine internazionale che è scaturito dalla fine della seconda guerra mondiale ed ha avuto un momento di grande cesura irrisolta con lo scioglimento unilaterale dell’Urss nel 1991.
Gli accordi di Yalta sono stati superati dal crollo del comunismo e del patto di Varsavia, dalla estensione della Nato in Europa dell’est, prontamente accompagnato dall’ingresso degli ex stati socialisti nella UE (a completamento anche in senso economico del mercato unico, saldamente presidiato dall’industria tedesca, con nuovi soci per le aziende della difesa americane chiamate a fornire equipaggiamenti standardizzati sui parametri della Nato).
Il tema dell’espansione o, come si suole dire oggi, della globalizzazione, sembra piuttosto appannato, come sancito nello scorso marzo dallo stesso Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, il più imponente fondo di investimenti del mondo (ciò anche nella percezione comune della popolazione di quasi tutti gli stati della UE).
Infatti, pur persistendo spinte in tal senso molto forti, gli aspetti di erosione del benessere all’interno degli Usa, nella prospettiva di risparmiare i costi del lavoro, delocalizzando in Cina, hanno provocato il grande malcontento sociale che ha portato alla elezione di Trump ed alla rinuncia al controllo (fatto ancor più grave in un’ottica di lungo periodo non assistita solo dal perseguimento di profitto per gli azionisti privati a breve termine) delle cosiddette “catene del valore” (microprocessori, componentistica per motori elettrici, impianti fotovoltaici, lavorazione di terre rare, eccetera), così determinando una dipendenza stessa degli Usa da Pechino, che ne mina il potere di agire e di reagire ed anche lo stesso dominio militare, senza il quale il dollaro ed il sistema finanziario americano non avrebbero il valore che hanno.
Certamente, chi si è maggiormente avvantaggiato in senso ampio, aumentando enormemente il benessere per centinaia di milioni di persone, è proprio l’ex grande impero di mezzo che, grazie all’ingresso (affrettato) nel WTO, alla operosità della sua gente ed alla delocalizzazione occidentale, è cresciuto al punto di diventare un competitore ormai strategico di Washington ed un partner cruciale della stessa Berlino (in una Germania che ha, adesso, pienamente ripreso il suo posto di potenza, anche militare, con la repentina decisione di investire 100 miliardi di euro in spesa per le sue forze armate, puntando subito a dotarsi di sofisticati sistemi di difesa anti missile balistico per proteggere la propria gente. Si veda Centini Cos’è lo scudo antimissile Arrow 3 che la Germania vuole acquistare per difendersi dalla Russia, Fanpage.it del 5 aprile 2022).
Questo spiega la politica estera tedesca piuttosto “tiepida” nei confronti di posizioni nette sia verso Mosca (da cui dipende per il gas naturale), che verso Pechino (che rappresenta il grande mercato, alternativo a quello europeo, di sbocco dei prodotti tedeschi, almeno sino a quando non troverà compensazioni in altre aree come gli Usa o l’ Asia indo, nippo- coreana).
Insomma, sarebbe il caso di dire che, per la eterogenesi dei fini, proprio l’idea di aprire alla Cina troppo rapidamente ha sì portato profitto ad alcuni azionisti privati delle aziende delocalizzate e che ora vendono sul mercato asiatico stesso, ma ha, anche, impoverito larghi strati della popolazione americana, causando la nascita di una spaccatura molto seria sotto il profilo sociologico e che perdura da ormai molti anni, mettendo in crisi la stessa volontà popolare di esercitare una influenza globale da parte degli Usa, requisito indispensabile per il mantenimento del predominio delle imprese americane di ogni genere (una domanda: continuerebbe ad esistere un sistema finanziario angloamericano se non fosse assistito dalla forza militare ? Al lettore la risposta).
Il che, però, significa anche diverse altre conseguenze: a) la nascita di un potente ed industrializzato (cosa che lo differenzia dalla Russia) nuovo contendente in opposizione alla egemonia americana che protende su molte parti dell’Asia e dell’Africa la propria influenza, b) una ventata di serio pericolo sulla centralità del dollaro, moneta di riferimento degli scambi mondiali, da oltre 60 anni e strumento imprescindibile del benessere degli stessi cittadini statunitensi.
Non cose da poco, quindi.
In questo quadro di riferimento, ulteriormente inasprito dalle presenze militari turche e russe in Libia, a fronteggiare direttamente gli interessi di vario tipo italiani - energetici e non energetici, dal momento che chi controlla Libia e Tunisia può facilmente spiccare il volo verso il territorio italiano. Ricordate l’invasione alleata del 1943 da dove proveniva? - e le stesse basi americane sul nostro territorio, così importanti anche nella vicenda ucraina (altro curioso autogol degli Usa e della Francia, che cacciato Gheddafi, non sono riusciti a prenderne il posto, a tutto vantaggio, invece, di Ankara e Mosca che prevalgono sul terreno, avendo accettato di inviare truppe. Monito agli irenismi vani di certa vulgata che aborre autori, già convalidati dalla Storia, come Tucidide, Machiavelli, Botero, Schmitt, Richelieu, Bismarck, Churchill, Morgentau, Kissinger. Ci permettiamo, in materia, di suggerire la lettura di tre saggi: “Verità e bugie nella politica internazionale” di John Mearsheimer, “Persone e mondi” del prof. Angelo Panebianco e “L’arte della diplomazia” di H. Kissinger, per un doveroso “ripasso” sulla politica estera) l’Italia ha sottoscritto il Trattato del Quirinale, con la Francia, fatto storico di grande rilievo per molteplici ragioni.
Vediamone alcune in rapida sequenza:
A) era dalla fine della seconda guerra mondiale che l’Italia non stipulava un vasto trattato bilaterale (il che testimonia, molto da vicino, come la politica estera non sia sempre possibile farla in modo multilaterale proprio per le diversità degli interessi) con una potenza europea di primissimo piano, in una molteplicità di settori (L’accordo include la politica estera, quella militare, quella verso la UE, la giustizia, l’immigrazione, l’industria, l’energia, il clima, lo spazio, l’istruzione e la ricerca, la cultura e la società civile, la cooperazione transfrontaliera)
B) l’art. 1.2 istituisce meccanismi stabili di consultazione fra i due stati in caso di crisi ed alla vigilia di scadenze importanti (ad esempio vertici europei in cui si discuta di questioni che possono avere impatto all’interno delle rispettive economie o nella politica di sicurezza militare o tecnologica),
C) si prevede una cooperazione strutturata anche fra le rispettive missioni diplomatiche in Paesi terzi e presso le principali organizzazioni internazionali ,
D) si rafforza l’intesa nel bacino del Mediterraneo (definito “ambiente comune”) nelle aree della sicurezza, del contrasto alla immigrazione illegale e nel segmento delle risorse energetiche (il che riguarda, ovviamente, anche l’attività di ricerca di idrocarburi e di loro adduzione),
E) si favoriscono iniziative comuni (non, quindi, in concorrenza) per la stabilità, la democrazia e la sicurezza in Africa (continente centrale per le risorse del sottosuolo e per i nuovi mercati emergenti) F), viene istituito un Consiglio italo-francese di Difesa e Sicurezza, che riunisce i rispettivi ministri di Esteri e Difesa.
Per ovvie ragioni di brevità, non possiamo, in questa sede, far cenno a tutti gli aspetti toccati da questo Trattato, ma è significativo che l’art.1 di esso sia rivolto agli “Affari Esteri” e l’art. 2 alla “Sicurezza e Difesa”. Materie chiaramente cruciali anche alla luce degli avvenimenti bellici in Ucraina e nella immediata prospettiva dei nuovi consequenziali equilibri europei.
L’art.5 prevede una sinergica azione per facilitare gli investimenti industriali reciproci anche al fine di stabilire strategie comuni sui mercati internazionali e nel quadro di una Europa sociale (l’aggettivo richiama, l’art.3 del Trattato sulla Unione europea che fonda un’economia sociale di mercato).
Del pari, è affermata la volontà di realizzare un’autonomia strategica nei settori digitali, energetici (sappiamo quanto sia indispensabile oggi), della sanità, della difesa e della tecnologia.
Viene creato un Forum di consultazione fra i Ministeri di Economia, Finanze e Industria che si riunisce con cadenza annuale.
Di ulteriore spicco anche gli aspetti ambientali, con la spinta verso le energie rinnovabili, l’efficienza energetica, la neutralità climatica entro il 2050 e la protezione della Natura (art. 6).
Nel Mediterraneo nord-occidentale si punta a delimitare una zona marittima particolarmente vulnerabile (la qual cosa dovrà incastrarsi con la nostra Z.E.E.).
Importanti le disposizioni dell’art. 7 in materia di Spazio, inteso come nuova dimensione fondamentale della strategia europea, ma anche come rafforzamento della cooperazione ed integrazione bilaterale a livello industriale e tecnologico fra Italia e Francia. Materia, questa, assai delicata perché è rivolta sia allo sviluppo degli equipaggiamenti di punta delle rispettive industrie, sia alla esplorazione spaziale, che ai sistemi di rilevamento satellitare per scopi civili e difensivi.
Infine, gli articoli 8, 9 e 10 sono rivolti alla Ricerca ed istruzione (ambito importantissimo), alla cultura della società civile ed alla cooperazione transfrontaliera.
Come in ogni caso di accordo o contratto, anche di carattere diplomatico, la volontà dei contraenti sarà necessaria e fondamentale per applicare, con spirito di vera (e non soltanto formale) reciprocità, le disposizioni pattizie.
L’Italia ha interesse a creare sinergie con i vicini d’Oltralpe per maggiormente coordinarsi sia in chiave europea, sui dossier comunitari più rilevanti (pensiamo al patto di stabilità, all’Energia), sia sul piano della costruzione di una architettura più integrata sul versante difensivo ed industriale.
La guerra Ucraina ha letteralmente costretto tutti gli stati, ma anche le loro opinioni pubbliche, ad immaginare nuovi rapporti di sicurezza nel vecchio continente, anche con una più larga prospettiva verso l’Africa e l’Asia; ma questo implica un’accurata e raziocinante analisi, scevra da caratteri di emotività, che poco si convengono da sempre nella elaborazione della Politica Estera di un Paese di rango.
di Orizzonte