I quotidiani trentini hanno dato ampio spazio a un convegno e alla presentazione di un volume curato da due giornalisti circa gli effetti della disparità di attività lavorativa tra uomini e donne. Ho cominciato nel 1965, primo anno di università, a fare le prime ricerche sociologiche su dati e ho continuato con pubblicazioni fino a due anni fa.
In materia ho frequentato corsi di statistica e di matematica, compresa quella per le scienze sociali, demografia, tecniche psicometriche, metodologia della ricerca e mi sono perfezionato al Graduate Center della City University di New York sotto lo guida di uno dei migliori metodologi, il prof. Edgar Borgatta. Quando perciò leggo di risultati di indagini ho il costume di valutarne l'attendibilità e invece continuo a leggere come risultati indiscutibili affermazioni che non lo sono.
Dal confronto tra paesi con diverso tasso di impiego sul mercato di lavoro di donne si derivano affermazioni come quella che interpreta in termini di causa-effetto il fatto che più alta è tale quota, più alta è la propensione a generare figli, oppure che interpreta tale più alto tasso come causa di crescita del Prodotto Interno Lordo.
Da decenni mi sono occupato di modelli causali e una cosa che apprende chiunque se ne occupi è la necessità del controllo di possibili variabili intervenienti che spiegano la supposta relazione evidenziata. Le variabili che interferiscono in modo causale sulla propensione a generare figli o ad elevare il PIL pro-capite in una società sono moltissime e se si controllasse il loro effetto potrebbe anche accadere che la relazione semplice di partenza si rovesci nel segno, ossia diventi il contrario, per cui più alto il tasso di donne che si pongono sul mercato del lavoro minore è la propensione a generare figli.
Lanciare messaggi su un'interpretazione della parità di genere come indifferenziazione delle scelte di attività tra uomini e donne, a partire dalla differenza più elementare di scegliere di porsi sul mercato del lavoro o di svolgere attività che privilegiano altri ambiti sociali ed economici, altro non è che slogan di propaganda di un'ideologia mercatista.
E' andato smarrendosi l'approccio critico alla misurazione del benessere sociale solo tramite quanto si pone sul mercato, compreso il lavoro. Il lavoro di cura, secondo uno dei relatori, è solo un "peso sociale" che grava per il 70 % sulle donne. Se ne ricava che se fosse pagato a una colf andrebbe bene, perché aumenterebbe il PIL. Ideologia cui la nostra "intelligentsia" non sa che offrire supporto.
Questione collaterale è quella della scelta di che formazione devono avere uomini e donne: dovrebbe essere la stessa; servono più donne ingegnere perché non sono nella stessa proporzione degli uomini. Ma chi si arroga il potere di censurare libere scelte di percorso di istruzione? Ogni scelta formativa delle donne che non ripeta la proporzione degli uomini sarebbe figlia, secondo il Convegno, di pregiudizi e stereotipi.
Sarebbe esclusa la legittimità di diversità di propensioni. L'anticamera di un sistema educativo autoritario.Un etologo, ma anche un semplice conoscitore del mondo animale, non farebbe fatica a rinvenire nel modo dei mammiferi e tra essi anche dei primati, diversità di propensioni tra maschi e fammine nelle attività.
La differenziazione tra i sessi comincia ad essere iscritta anche negli organismi, cominciando da gravidanza e allattamento.
L'essere umano vive questa differenziazione con l'arricchimento della sua cultura, ma siamo proprio sicuri che essa possa essere cancellata perché frutto di pregiudizi? Penso che nessuno scienziato possa esserlo. Altro slogan, altra ideologia: uomo e donna non sono pari per dignità, ma per attitudine e propensione a svolgere ogni attività. Salvo poi adattare le norme pensate per gli uomini alla diversità di sesso, a cominciare dalle attività sportive.
Dopo che Dio creò Adamo, gli dette per compagnia Eva, non un altro uomo. Ed Eva fu la madre di tutti i viventi, una donna, non un uomo. Il racconto mitico delle origini pur segnala che la dignità di Adamo e di Eva era la stessa (un aiuto simile a lui, "carne della mia carne, ossa delle mie ossa"), ma l'uguaglianza di dignità non è negata dalla diversità di organismo e psiche. Quando la divulgazione scientifica si affrancherà da slogan ideologici?
Renzo Gubert