Verso la località trentina di Serrada sono indirizzati due messaggi, non datati, di Gabriele d’Annunzio ad Alessandro Pozzi, suo legionario di Fiume: “Sono contentissimo di avere finalmente un segno da te. Stop. Anche Pierfilippo mi ha dimenticato”. Il riferimento è al conte Pier Filippo di Castelbarco, di cui Danilo Massagrande documenta la presenza di tre messaggi a lui indirizzati dal poeta, da Fiume (1920) e Gardone (1921).

E l’altro telegramma dannunziano: “Il mio lavoro e il mio spirito sono spezzati dal dolore per la fine di Luigi Cadorna. Stop. M’è cara la tua dedizione per la guerra da continuare”. Opportunamente Federico Carlo Simonelli, nella sua ricerca, fa riferimento a “una guerra culturale che sarebbe sopravvissuta al conflitto e alla vittoria”. Il poeta, che qui si firma “Gabriele d’Annunzio di Monte Adrante”, intratteneva evidentemente un rapporto di stima col generale piemontese che, come ricorda Giordano Bruno Guerri, aveva detto: “Se d’Annunzio potesse parlare ai soldati prima di ogni battaglia, la battaglia sarebbe per metà vinta”.

Tramite l’amico Ojetti il poeta-soldato ne aveva anche sollecitato l’interessamento per avere la sua prima medaglia d’argento al valor militare, che effettivamente ottenne il 9 luglio 1916 insieme al riconoscimento della qualifica di mutilato ed invalido di guerra. Fin dal giugno 1915, inoltre, il generale aveva assegnato a d’Annunzio, con mansioni di autista, il caporale Attilio Bruzzone, figlio di un industriale genovese amico del poeta. E con telegramma del 6 novembre 1916 dava corso al decreto di promozione di d’Annunzio a capitano per meriti di guerra, in seguito alla sua partecipazione alle azioni della 45. divisione della Terza Armata.

Nel dicembre del 1915 d’Annunzio aveva composto un’Ode pel Generalissimo. “Questa preghiera – si leggeva in copertina dell’edizione datata XX settembre MCMXXIV -, apparsa nel Corriere della Sera il 19 dicembre 1915, viene pubblicata col cortese consenso del Poeta, a cura del Comitato nazionale onoranze a Luigi Cadorna, in occasione della consegna della casa offerta al Generalissimo dalla riconoscenza dei memori italiani”.  Nell’Ode d’Annunzio immaginava che la testa del militare fosse “nel più duro granito del Verbano tagliata e scalpellata”. Cadorna commentò: “Ecco un modo elegante per dire che sono brutto!”.

Osserva Luciano de Marchi: “Uno era generale sabaudo, capo di stato maggiore dell'esercito, discendente da una famiglia di militari (vedi il padre Raffaele e la presa di Roma), l'altro un poeta e coraggiosissimo aviatore e soldato. Ovviamente due personaggi totalmente diversi, sia per responsabilità che per carattere”. Un elemento che accomuna il generale Cadorna e Gabriele d’Annunzio è invece… Padre Pio, di cui è nota una lettera scrittagli dal Vate. Il santo frate del Gargano, apparso in bilocazione al generale Cadorna, lo avrebbe infatti dissuaso da un tentativo di suicidio. 

Un altro drammaturgo, Luigi Pirandello, scriveva da Roma al figlio Stefano, il 28 ottobre 1915: “Ti trovi in Arcadia o ti trovi alla guerra? I bollettini di Cadorna del giorno 21 parlano d’assalti sanguinosi, di progressi su tutta la fronte, da Caporetto al mare: trincee conquistate, attacchi e contrattacchi violentissimi… Tu scrivi dal letto l’ultima cartolina del 24 e vedi dalla porta la campagna verde, il monte nemico che tace, e odi lo svolare degli uccellini, i loro discorsi, la voce che alitano le cose della mattina, frementi… - Par di sognare!”

Il riferimento alla scomparsa di Cadorna consente di datare il telegramma di d’Annunzio agli ultimi giorni del 1928. Il generale piemontese, evocato – con intenzioni di protesta o di scherno - dai canti dei soldati della Grande Guerra, morì infatti il 21 dicembre 1928 a Bordighera, presso la Pensione Jole (poi divenuta Hotel Britannique). Gianni Rocca ricorda: “Nella sua cameretta, tappezzata di stoffa bianca e azzurra, rivestito di nero, coperto da una bandiera tricolore, crocifisso sul petto e il rosario fra le mani, offrirà la sua ultima immagine ai commossi visitatori. Fedeli alle sue raccomandazioni i familiari non hanno esposto sul catafalco né decorazioni, né insegne”.

Luigi Cadorna era stato nominato capo di stato maggiore dell’esercito pochi giorni prima dello scoppio della guerra, ben presto palesandosi “mosso da un altissimo senso del dovere – scrivono Astorri e Salvadori - e dalla ferrea convinzione che tutto deve essere sacrificato alla vittoria”.  L’8 novembre del 1917, dopo la disfatta di Caporetto, fu costretto a lasciare il comando dell’esercito e, finita la guerra, venne nominato maresciallo d’Italia. 

Fu grande estimatore di Mussolini (che gli regalò la villa di Pallanza dove, dopo la morte di Cadorna, venne eretto un mausoleo) fino a confidare ad un amico: “Auguriamoci che per virtù di Mussolini, uomo nuovo e forte, il paese si mantenga degno della gloria militare e della fortuna della nazione”. Il vecchio generale si augurava anche di poter contemplare “prima di morire, l’aurora di un’Italia migliore, cioè mussoliniana e fascista” e definiva l’uomo di Predappio “lo spirito più luminoso della nuova Italia”.



Ruggero Morghen