La politica estera, con la realistica scelta degasperiana post Yalta dell’alleanza occidentale, è stata la stella polare della politica italiana, confermata da tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese in tutta la storia della nostra Repubblica. Oggi viviamo una condizione di guerra causata dalla brutale invasione russa dell’Ucraina, aperta sfida all’Europa e all’Occidente, nel tentativo dell’autocrate Putin di ricomporre la vecchia Unione Sovietica e di superare gli equilibri geopolitici di Yalta (febbraio 1945), nel “secolo asiatico” a dominanza cinese.
Non mancano esponenti e gruppi politici italiani già orientati verso Russia e Cina che, anche in questo momento di aperto conflitto bellico, mostrano malcelate disponibilità filo russo, alimentando quello che viene oramai denominato “ putinismo italico”.
La condizione di grave crisi economica e sociale, politico e istituzionale dell’Italia, ha generato il forte malessere tradottosi nel voto a vantaggio dei “vaffa” nel 2018 e nella sempre più forte astensione dal voto di oltre la metà degli elettori, sia nelle elezioni politiche nazionali che locali.
Il governo di ampia convergenza a guida di Mario Draghi è stata la risposta che, auspice il Quirinale, si è cercato di dare al Paese. Un governo che, dopo quello del Conte 2, ha dovuto affrontare con la continuazione, tuttora in atto, di una delle pandemie più gravi della storia contemporanea, quella della guerra che sta sconvolgendo i rapporti internazionali utilizzando con le forze militari messe in campo da Russia e Nato, le leve strategiche dell’energia da parte di Putin e del controllo dei cereali destinati all’alimentazione di miliardi di persone, specie nei Paesi più poveri del mondo.
E’ in atto un’inflazione da costi che non si vedeva da decenni, col rischio di successiva stagnazione, una stagflation che nel nostro Paese si aggiunge a una disuguaglianza sociale come quella denunciata dal recente rapporto ISTAT. Una diseguaglianza espressa in questi termini: in Italia nel 1980 gli AD più pagati prendevano 45 volte i loro operai, 649 volte nel 2020. Quanto siamo lontani dalla regola morale di Adriano Olivetti: «Nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di dieci volte l'ammontare del salario minimo».
E’ evidente che, con una disoccupazione crescente alimentata dalla crisi e chiusura annunciata di oltre 100.000 aziende, e un’inflazione oltre l’8%, che si ripercuote soprattutto nella borsa della spesa delle categorie più povere, ci prepariamo ad affrontare un autunno molto caldo. Una situazione che, se non è messa sotto controllo, rischia l’esplosione sociale.
Che in tale contesto, Giuseppe Conte stia mettendo a rischio la tenuta del governo Draghi, se è comprensibile rispetto a un movimento che col reddito di cittadinanza si era illuso di proclamare “ la fine della povertà”, è del tutto ingiustificabile considerando che, persa la leadership dell’uomo allineato al mainstream occidentale, l’assenza di un’alternativa credibile può solo arrecare ulteriori danni alla già grave situazione italiana. Salvini ha subito dichiarato nella giornata di ieri: "240 giorni poi vince il centrodestra a guida Lega".
Credo che trattasi di un whisful thinking del leader leghista che sembra non stia facendo i conti con la concorrenza della Meloni e di Fratelli d’Italia. Berlusconi, riavutosi dal momento di afasia e preoccupato dai movimenti centrifughi in Forza Italia, ha colto al balzo la situazione chiedendo, come ai tempi della prima Repubblica, un’immediata verifica di governo.
Si troverà un compromesso oppure NO? Lo vedremo nelle prossime ore. Intanto, però, io credo che, tenendo fissa la nostra stella polare , noi democratici cristiani e popolari abbiamo il dovere di impegnarci nella costruzione di una forte alleanza politico elettorale euro atlantica, in coerenza con la nostra storia migliore, quella dei padri fondatori DC dell’Unione europea: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman.
Ettore Bonalberti