Una biografia significativa quella di Luigi Carraro per illustrare i processi di selezione della classe dirigente della Democrazia cristiana. Formatosi nell’ambiente parrocchiale e della Fuci padovana, capitano di fanteria sul fronte jugoslavo, dopo l’8 settembre 1943 partecipa alla lotta resistenziale, divenendo rappresentante della Democrazia Cristiana nel CLN padovano, insieme a Marcello Olivi (futuro Presidente della provincia di Padova e deputato) e Lanfranco Zancan (futuro assessore comunale di Padova) punto di riferimento della resistenza cattolica. Scelto come vicesindaco nella giunta comunale di Padova di nomina CLN rinuncia per impegnarsi nella candidatura alla Assemblea Costituente nel 1946, senza tuttavia riuscire ad essere eletto.
Una delusione che lo porta per molti anni a non ricercare alcuna candidatura istituzionale impegnandosi nella carriera universitaria, diventando giovanissimo ordinario di diritto civile e uno dei giuristi più apprezzati a livello nazionale.
L’impegno politico lo concentra nella vita di partito nella DC, di cui è segretario provinciale tra il 1947 e il 1948 e poi per un lungo periodo tra il 1952 e il 1964, divenendo componente del Consiglio Nazionale dal 1949 e dal 1953 della Direzione.
Singolare è la sua traiettoria politica: sviluppa fin dal 1946 un rapporto con i gruppi dossettiani, con un rapporto personale di stima e comprensione con Giuseppe Dossetti, ma poi si sposta su posizioni centriste, seguendo Mariano Rumor nella corrente di Iniziativa Democratica, di assoluto rilievo è lo stretto rapporto di confidenza ed amicizia con Antonio Segni.
Copiosissima è la corrispondenza tra le due personalità, con Segni Ministro, Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica, sensibile ai pareri formulati da Carraro cui chiede spesso consiglio. Pur in assenza di ruoli istituzionali Carraro svolge perciò una significativa azione di indirizzo anche della politica nazionale.
Nella Dc padovana svolge la sua lunga segreteria opponendosi con fermezza ad ogni ipotesi di apertura ai nuovi fermenti presenti nel mondo del lavoro e negli ambienti cattolici progressisti. Pur non ricoprendo alcun incarico amministrativo guida con autorevolezza direttamente e attraverso la presenza di uomini di sua diretta fiducia la vita amministrativa del capoluogo e della provincia, punto di riferimento fermo per le organizzazioni cattoliche, i mondi dell’economia e della finanza, anche attraverso la figura del padre Giuseppe, esponente del mondo finanziario padovano e del Partito Liberale.
La guida era al limite dell’autoritarismo: indicativa dello stile restò la sua denuncia ai probiviri di un segretario di sezione colpevole di avere invitato a Padova Amintore Fanfani, che era il Segretario nazionale del partito! Si oppone anche ad ogni ipotesi di collaborazione amministrativa con i socialisti dopo l’apertura a sinistra avvenuta a livello nazionale. Queste posizioni portano alla sua sconfitta al congresso provinciale della Dc padovana del 1964, in cui si forma una nuova maggioranza politica guidata da Luigi Gui e dalla sinistra di Forze Nuove.
Solo nel 1968 accetta la candidatura, non senza qualche contrasto interno, al collegio senatoriale di Cittadella, dove viene riconfermato fino alla sua morte per 4 legislature. Tra il 1972 e il 1973 è presidente della prima Commissione parlamentare Antimafia, facendosi unanimemente apprezzare per il suo equilibrio, con l’elaborazione della relazione di maggioranza che tuttavia conteneva severissimi giudizi sulle infiltrazioni mafiose anche in ambienti democristiani siciliani.
Dal 1976 al 1980 è vicepresidente del Senato, presieduto da Amintore Fanfani. L’impegno politico non ha limitato in alcun modo la prosecuzione della sua attività nel campo del diritto civile, con una produzione scientifica di riconosciuto valore, nell’impegno delle strutture di governo dell’Università di Padova, anche come Preside della facoltà di Giurisprudenza.
Paolo Giaretta