IL CONSIGLIO D’EUROPA E IL RISCATTO ITALIANO

Due importanti avvenimenti politici nel 1948 videro l’Italia su una posizione attendista fino allo sblocco politico delle prime elezioni repubblicane. A Bruxelles fu firmato il 17 marzo del 1948 il Trattato a cinque tra Belgio, Francia, Gran Bretagna, Lussemburgo e Paesi Bassi che aveva come obiettivo quello di un reciproco aiuto militare e politico. Un trattato che nasceva dalla complessa e difficile lettura del futuro ruolo della Germania ma soprattutto di come la Russia avrebbe agito negli anni successivi nei confronti dell’Europa. In questo contesto l’Italia aveva deciso di non aderire al Trattato di Bruxelles per motivi soprattutto legati alla politica interna che era in forte fermento per l’appuntamento elettorale di metà aprile.

Nel maggio del 1948 si svolse il Congresso dell’Aja dove si ritrovarono i principali statisti dell'Europa occidentale in rappresentanza di 17 Stati, oltre ad osservatori da Stati Uniti e Canada e a cui non parteciparono esponenti del Governo Italiano, ma dove la strada per una federazione Europea prendeva finalmente forma. Organizzato dal Comitato internazionale dei movimenti per l’Unione europea e presieduto da Winston Churchill, il Congresso diede la possibilità di un confronto sul tema del futuro dell’Europa sia sul piano politico che su quello economico.

Era il maggio del 1948 e quindi la vicinanza delle elezioni italiane relegò anche questo appuntamento in secondo piano nell’agenda politica governativa italiana. Ma proprio il risultato delle elezioni sancì il punto di svolta in politica estera italiana avendo De Gasperi il formale mandato dell’esito popolare e soprattutto ampia stima a livello internazionale. Il lavoro diplomatico, con il suo Ministro degli Esteri Carlo Sforza, crebbe ulteriormente dopo il 1948 sul solco di una strada, non facile ma tracciata, di collaborazione internazionale.

Con un intervento intitolato “come fare l’Europa” tenuto all'Università per gli stranieri di Perugia, di cui era rettore, nel luglio del 1948 il ministro Sforza rimarcò la necessità della prospettiva federalista e di come l’Italia avrebbe dovuto svolgere un ruolo di primo piano: “L’unico modo di salvarci da una terza guerra mondiale e l’unico modo di conquistarci il solo primato che alla lunga conta, quello delle idee, è di divenire araldi dell’unione di un’Europa aperta a tutti, di un’Europa abbastanza generosa e chiaroveggente da persuadere ognuno dei piccoli Stati che la compongono … a rinunziare a una parte della propria sovranità”28.

La definizione del Piano Marshall e la formalizzazione dell’OECE furono due ambiti di lavoro importanti per la diplomazia internazionale dove, sia la Francia che l’Italia, cercarono di imprimere un’accelerazione sulla concretizzazione delle prospettive nell’oggettiva difficoltà di trovare un equilibrio su tutte le posizioni in campo. In questo contesto risultava fondamentale per l’Italia il riconoscimento all’interno dell’ONU, da cui in prima battuta era rimasta esclusa per il veto russo e il percorso che si stava concretizzando per il Patto Atlantico.

De Gasperi ribadì più volte il proprio pensiero che non si basava sul concetto di sterile collaborazione internazionale ma fondava le proprie radici sui temi delle libertà riconquistate dopo anni di dittature. Nell’intervista a Il Messaggero nell’ottobre del 1948 dichiarò: “Non ho mai sentito più chiaramente di ora che cosa significa la nostra assenza dalle discussioni internazionali dell’ONU. Se fossimo stati presenti, attraverso la discussione il nostro atteggiamento sarebbe risultato evidente, cristallino e ben più ef icace. L’ingiusto veto di una delle quattro potenze firmatarie del Trattato ci impedisce, in ispregio al Trattato stesso, di far valere il nostro diritto e di esercitare la nostra pacifica missione. Avremmo potuto parlare per la pace europea e per la nostra indipendenza nazionale e batterci soprattutto per la libertà e l’integrità delle nazioni disarmate. … Questo è soltanto un attimo della storia e del lungo domani non v’è alcuna certezza, se non quella costruita faticosamente e tenacemente dalla solidarietà di uomini, che siano schiettamente amanti della pace e della libertà.”.

E fu soprattutto in un discorso pronunciato a Bruxelles nel novembre del 1948 durante i lavori alla Grandes Conferences Catholiques in cui De Gasperi tracciò la definitiva linea italiana in politica estera con il superamento del tradizionale statalismo nazionale verso nuove istituzioni internazionali concedendo anche parte della propria sovranità. Durante la permanenza a Bruxelles e poi a Parigi nei giorni successivi, ebbe modo di confrontarsi e dialogare con i Capi di Stato europei e di approfondire le molte questioni aperte in un clima di convinta volontà di trovare un equilibrio tra le diverse posizioni.

Questo viaggio rafforzò la credibilità del Governo italiano agli occhi di quegli Stati che grazie al Trattato di Bruxelles avevano avviato una fase di studi e analisi preparatorie all’unificazione Europea. L’Italia poteva finalmente essere ammessa a partecipare a questo lavoro di studio e a Cannes nel dicembre 1948 ricevette dal Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, il testo predisposto per iniziare il processo di valutazione sui contenuti. L’elaborazione dello Statuto del Consiglio d’Europa fu il tavolo concreto su cui fu invitato il Governo italiano nel portare il proprio contributo assieme ai rappresentanti di Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia.

Il 5 maggio 1949 nasceva ufficialmente a Londra Il Consiglio d’Europa (CoE), la prima organizzazione internazionale sorta in Europa dopo la seconda guerra mondiale, istituito con il Trattato di Londra e ratificato in Italia il 23 luglio 1949. Era composto da un Comitato di Ministri e da un’Assemblea Consultiva.

L’evidenza principale era però un allontanamento da quell’impeto federalista che aveva animato i mesi precedenti, per giungere ad una formula di accordo internazionale con poteri principalmente consultivi. Un primo passo fondamentale e necessario, ma non in linea con le aspirazioni federaliste che lo avevano animato. E furono proprio i delegati italiani all’Assemblea a spingere fin da subito per una revisione dello Statuto in chiave federalista ma ottenendo parziali risultati per non compromettere comunque il cammino intrapreso.

Infatti De Gasperi era convinto sostenitore del percorso avviato ma anche delle difficoltà e degli ostacoli che man mano si sarebbero incontrati. Scriveva dalle pagine de Il Popolo nel febbraio 1950: “Vi è chi si preoccupa di una certa lentezza, di una eccessiva gradualità nel cammino verso l’integrazione economica e l’unificazione politica d’Europa. Una ragionevole gradualità deve essere invece per i nostri amici un motivo non di sfiducia ma di af idamento. Si tratta di conseguire una unione politica ed economica che, per essere seria e solida, esige uno scambio dettagliato d’idee e di proposte ed un meditato studio nelle scambievoli concessioni”.

 

Enrico Galvan