In occasione dei contatti che la Presidente Meloni ha chiesto di avere con le opposizioni è tornato all’attenzione il significato dell’impegno elettorale per le decisioni politiche.
Come già per altri contenuti, la Presidente del Consiglio dei Ministri ha affermato che l’adozione di una riforma in direzione presidenzialista è stata approvata dalla maggioranza degli italiani, dato che essa era contenuta nel programma elettorale del centro-destra che ha vinto le elezioni.
Il ragionamento pare logico: in verità non lo è. Il voto a una coalizione non è dato solo se si condividono tutti i punti programmatici della coalizione, ma anche se ne sono condivisi solo alcuni, magari ritenuti più importanti di altri e comunque più importanti di quelli proposti da altre coalizioni. Una valutazione della scelta meno negativa non può essere interpretata come condivisione di tutti i contenuti programmatici.
Ci sono stati certamente elettori di orientamento democratico cristiano che hanno votato per la coalizione di centro-destra, ma la Democrazia Cristiana si è espressa sempre a favore di un sistema istituzionale parlamentare, con ripartizione proporzionale dei seggi, magari rafforzato da meccanismi di sfiducia costruttiva e soglia di sbarramento, sul modello tedesco.
Nel XX Congresso, celebrato il 6 e 7 maggio 2023 a Roma, questo orientamento è stato riconfermato senza dubbi.
Aveva già provato Renzi a “forzare” in direzione presidenzialista, come da suo programma elettorale, ma gli elettori si sono ribellati e hanno votato contro nel referendum popolare.
Se la Presidente Meloni si dovesse appropriare del consenso elettorale ottenuto, considerandolo equivalente a una decisione politica impegnativa in direzione presidenzialista, rischiaerrebbe di perdere anche il consenso elettorale futuro, e non solo per la prossima legislatura.
Renzo Gubert