LL’editore Panozzo, da quarant’anni sulla piazza, propone una selezione di libri riminesi. Sulle suore salesiane (di cui qui abbiamo già scritto) o sulla cucina “tra le due guerre”, che sarebbe poi un modo elegante per dire “nel tempo del Fascismo”. La cucina storica, in effetti, è uno dei cavalli di battaglia di questo editore. Ma tra le sue proposte troviamo anche i riminesi “alla menta” rievocati da Giuliano Masini, oppure Gabriele d’Annunzio ed Eleonora Duse che passeggiano per viale Vespucci, “cuore pulsante del lido – come scrive Manlio Masini -, e civettuolo salotto a cielo aperto della vita dorata della vacanza”.
È ancora una Rimini inusuale, poetica e cinematografica, quella proposta da Salvucci nel suo “Paesaggi laterali”, presentato alla Biblioteca Gambalunga di Rimini. Una Rimini nascosta – aggiunge l’editore Tommaso Panozzo – che merita d’esser raccontata dopo San Marino e la Garbatella, rione romano dove vive il padre del fotografo. La coglie uno sguardo un po’ malinconico e solitario, che riconosce il fascino esercitato dalla fotografia di strada e dal New American Landscape, che suggestionò Salvucci quando lo scoperse negli anni Ottanta.
Graziano Pozzetto, invece, si occupa dei grandi bevitori e mangiatori di Romagna, con i mangiari delle osterie e quelli rituali. Arnaldo Pedrazzi, dal canto suo, riprende il tema della Rimini scomparsa dopo l’ultima guerra: ricordi e frammenti di memoria di quando “eravamo i burdèll di prét” e poi i “libri da queste parti”, una ricerca condotta tra storia e antropologia culturale.
A Rimini, com’è noto, ci son tante piadinerie e persino una “fabbrica della piadina”. Sotto la categoria “Le nostre piade” in realtà si parla ancora di piadine. Il termine – informano gli storici Piero Meldini e Oreste Delucca, due veterani - è documentato dal 1622 (erano fatte con sarmenti e fave). All’origine troviamo larghe focacce, forse imbottite. Nel 1572 Costanzo Felici ritiene quelle che chiama “cresce o piade” un “pessimo cibo, con tutto che – concede – a molti piaccia”. Dal canto suo l’Artusi non parla di piada, ma di crescioni sì (al solito però fa delle traduzioni... creative, come per la besciamella che diventa balsamella), mentre Pascoli afferma che la piada è “il pane, anzi il cibo, direi, nazionale dei romagnoli”, erede diretto della mensa romana citata nell’Eneide.
Ad ogni modo la storia della piada, autentico simbolo gastronomico di Romagna – si è detto alla Gambalunga - ha molti punti oscuri, come tutti i piatti della tradizione. Si sa solo che prima viene la piada, poi il pane, poi - sull’onda del turismo e del marketing - di nuovo la piada. Da ultimo però, bisogna riconoscerlo, a Rimini e in Romagna viene solo il… Panozzo.
Ruggero Morghen