Premetto, a scanso di equivoci, che il partito che fu di De Gasperi e Sturzo, che sta riscoprendo un nuovo risveglio, dopo oltre venticinque anni di assenza dalla vita politica attiva, non è, e non vuole essere, l’espressione di un nuovo partito, ma vuole ricondursi, in piena continuità, alle radici ed al florilegio di ideali, di valori e di metodi che ne caratterizzarono la cinquantennale esperienza.
Eppure non manca chi vagheggia nuove frontiere, ipotizzando inedite identità o inappropriate ibridazioni.
Il dibattito non ha risparmiato nessuno dei vecchi esponenti.
Molti attestati su posizioni che non lasciano spazio a qualsivoglia reviviscenza di quella virtuosa esperienza politica (Rotondi, Follini,Pomicino, Fiori).
Non pochi sono però quelli che ne riconoscono le plausibili ragioni, non foss’altro, ritenendo ancora vive ed attuali le potenzialità del grande patrimonio di valori e di principi che furono il motore ideale dell’azione della Democrazia Cristiana.
Il filo dei ragionamenti dei tanti commentatori è comunque trasversale in questa disputa, che sembra infinita, anche perché non c’è stata ancora un vero e proprio battesimo sul campo, a parte il caso eclatante della Sicilia.
Così che domina un dilemma di fondo che porta gli analisti a non trovare soluzione nel suo sbilanciarsi tra irripetibilità di quella valorosa esperienza e vaghezza della nuova identità.
Quest’ultimo sembra essere l’aspetto più controverso del problema: se sia verosimile una rinascita di quell’esperienza nella stessa forma identitaria, o se non sia il caso di prodigarsi per un'aggregazione dell’area culturale di centro, principalmente attorno a quei valori che oggi, marginalmente rappresentati, sono l’espressione più viva del cattolicesimo democratico e cristiano-sociale per un’inedita formazione politica di centro.
In questo dualismo si distinguono soprattutto le tesi di Merlo e di Bonalberti,
È proprio di questi giorni un ennesimo articolo dal titolo “Che fare?”, su Il Popolo, dove oltre a ripetersi quel filo enunciativo con cui torna a ribadire la costruzione di un nuovo soggetto politico, Bonalberti ci ripropone una rilettura dei suoi pregevoli articoli, intessuti dello stesso ragionamento.
Eccone alcuni passaggi:
“Tutto ciò in un Paese caratterizzato dal prevalere di una condizione etica, culturale, sociale ed economica di anomia ( assenza di regole, discrepanza tra mezzi e fini, venir meno del ruolo dei gruppi sociali intermedi), vittima di una crisi di sistema che si esprime nel forte astensionismo elettorale (quasi il 50%) e con molta parte delle diverse componenti del sistema sociale, in primis quelle del terzo stato produttivo e delle classi popolari, alla ricerca di un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, alternativo alla destra nazionalista, ai diversi populismi e a una sinistra tuttora alla ricerca di una propria identità nell’età della globalizzazione. Trattasi della ricerca di un nuovo equilibrio politico, tanto più necessario in questo tempo caratterizzato dalla tragica guerra russo ucraina, destinata a mettere a soqquadro gli equilibri che avevano retto l’Europa e il mondo da Yalta (4-11 Febbraio1945) e dalla nascita dell’OCSE, dopo la conferenza di Helsinki del 1975.”
Poi prosegue con l’ennesima proposta:
“In secondo luogo, si fa sempre più condivisa l’opinione che, prima di dividersi sul tema delle alleanze, sia indispensabile concordare una piattaforma programmatica che, come nei tempi migliori della storia politica dei cattolici ( Idee ricostruttive di De Gasperi e Codice di Camaldoli) sia in grado di intercettare i bisogni emergenti soprattutto dalle classi popolari e dai ceti medi produttivi, dalla saldatura degli interessi e dei valori dei quali, dipende la tenuta stessa del sistema sociale, politico e istituzionale del Paese…Concordata la proposta di programma, si potranno definire le regole per la convocazione di un’assemblea nazionale costituente del nuovo centro democratico, popolare, liberale e riformista, nel quale potrà riconoscersi la maggioranza del popolo italiano. Solo allora, dalla volontà della base, sarà decisa la nuova classe dirigente da proporre alla guida del partito e al giudizio degli elettori.”.
Tesi che riecheggia quanto da Egli sostenuto in precedenti suoi scritti.
Citiamo un eloquente passaggio dell’articolo pubblicato il 25 ottobre 2021, su Il Domani d’Italia:
“…indispensabile concorrere alla costruzione di un centro ampio che…potrebbe assumere i connotati di un centro laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale… Senza la pretesa di salvifici federatori sedicenti a priori, ma lasciando al campo aperto della politica e del confronto democratico la decisione su chi potrà assumersi l’onere e l’onore di guidare il progetto, credo che insieme a Mastella e a Calenda, anche gli amici di Rotondi e dei Verdi disponibili, così come agli amici di Forza Italia delusi dal mantenere un ruolo subordinato alla destra della Meloni e di Salvini: Carfagna, Gelmini, Brunetta, con quelli di Matteo Renzi, si potrebbe concorrere con tutti gli amici dell’area DC e popolare alla costruzione di una grande centro”.
Non sfugge di certo la somiglianza di posizione, sia pure in una chiave più contestualizzata con un articolo di Giorgio Merlo del 7 dic.2021 su Il Domani d’Italia, ove - in occasione della presentazione del mini partito di Mastella “Noi di Centro” di cui il redattore ne è il coordinatore - ad Ettore Bonalberti che si chiedeva se non fosse prima il caso di “ricomporre tutta la vasta e articolata area cattolico sociale, democratico e popolare”, così rispondeva:
“..In secondo luogo il messaggio emerso dal Brancaccio, almeno a mio parere, è quello di unire i vari riformismi delusi dal massimalismo della sinistra e dal populismo dei 5 stelle da un lato – uniti in una alleanza “storica e organica” come direbbero Zingaretti e Bettini – e dal sovranismo di alcuni settori della destra dall’altra. E unire i vari riformismi significa, appunto, dar vita ad una “federazione” – che noi abbiamo definito, per rendere meglio l’idea, una sorta di “Margherita 2.0” – capace di ricostruire realmente quel “centro” attraverso un partito organizzato, espressivo di interessi sociali e profondamente radicato nel territorio che adesso è addirittura invocato, evocato ed auspicato dai suoi maggiori e storici detrattori. Verrebbe da dire, quando tramontano le mode, ritornano i “fondamentali”.
Dopodiché Egli prosegue: “Purtroppo questo tentativo è stato perseguito per svariati lustri e non è riuscito a fare passi in avanti significativi. Ma questa volta, forse, siamo giunti ad una svolta. Non solo per fermarsi a ricomporre quest’area in chiave esclusivamente testimoniale ma per portare, con altri, un contributo decisivo che faccia di questo filone culturale – o almeno per chi ci sta, come ovvio e scontato – un asset qualificante del nuovo e futuro soggetto federativo”.
Non facendo che ribadire l’idea del nuovo soggetto politico senza rispondere a nessuno degli argomenti a contrariis che avevo avanzato sulle pagine del Il domani d’Italia del 26 ottobre scorso: “..inerpicarsi in un percorso di alleanze organiche e federative, con forze così eterogenee, nei metodi, nei contenuti e negli obiettivi di medio e lungo periodo, senza aver acquisito una forza rappresentativa consistente, vuol dire: frequenti conflitti interni, spinte e controspinte che finirebbero per far deflagrare tutto, come è successo con la Margherita e poi con l’esperienza governativa dell’Ulivo, ed avrebbe il sapore di una presa in giro degli elettori e poi di quanti si rendono protagonisti di questo disegno incauto. Un panorama simile si sta consumando nella coalizione di centrodestra, dove il ribaltamento, in termini di peso elettorale di Berlusconi, ha finito per mettere il suo partito al traino dei populisti e dei sovranisti. Come a sinistra dove, pur con la recente vittoria in diverse parti dei territori comunali del Pd, non sembra trovare la giusta strada la vagheggiata alleanza con i 5 stelle. Il fatto è che le condizioni in cui si dibatte il paese non consentono simili avventure. Meglio guardare avanti nella prospettiva di costruire una forza politica che, ripartendo dalle sue radici, riaccenda una speranza di futuro, nel segno di uno sviluppo equo e sostenibile”.
O evidentemente i miei interrogativi e le mie perplessità su quella prospettive politiche erano state scientemente surclassate!
A Merlo faceva eco l’amico Ettore Bonalberti, con questo articolo del 10 aprile scorso:
“Sono convinto che in tale contesto serve attivare un forte centro democratico, popolare, liberale e riformista, europeista e occidentale, alternativo alla destra nazionalista e distinto e distante dalla sinistra alla faticosa ricerca della propria identità. Un centro nel quale andrebbero ricomposte tutte le fratture esistenti nel campo degli ex Dc, aperto alla collaborazione con le culture liberal democratiche e riformiste socialiste, per il quale la Dc di Grassi e la Federazione Popolare Dc, insieme alle altre realtà di ispirazione popolare, cattolico democratica e cristiano sociale, sono tutte impegnate.”
Insomma un dejavù che l’amico Bonalberti ripete da tempo.
E pur senza rifuggire dall’idea di convergenze con le altre forze politiche, a cominciare da quelle che esprimono maggiori sensibilità centriste, sulla comunanza di tante tematiche che trovano risposte inadeguate, difficilmente può rivelarsi praticabile, il percorso cui sembra affiancarsi anche l’amico Bonalberti sulle stesse pagine (25 ott. 2021)de Il Domani d’Italia.
Insomma c’è un filo dottrinale che lega queste proposte che oltre ad essere smentite da precedenti esperienze di commistione di ideali e di valori eterogenei cui ho più volte opposto l’inverosimiglianza e l’insostenibilità di questo costrutto teorico, rischia di portare all’inconcludenza in tempi brevi di un simile percorso, già sull’insormontabile questione dell'incompatibilità di alcune aspetti fondanti di un comune programma politico.
Un’inconcludenza che trovo in tutto quel vuoto di risposte nei teoremi di questi amici su come fare sintesi in un programma comune con forze che passano dall’eutanasia alla tutela a tutto campo dei più speciosi e rifrangenti diritti civili su quelli sociali (+Europa, Calenda); da un liberismo senza briglie (Forza Italia)a opinabili progetti di modifiche alla Costituzione: sostituzione della centralità del parlamento con il presidenzialismo o semi presidenzialismo alla francese (Renzi e cespugli vari, Toti, Brugnaro);da una scuola azienda, sempre meno attenta alla formazione della persona e alla duttilità del proprio sapere (vedasi la cosiddetta riforma della buona scuola di Renzi) privilegiando un sistema di trasmissione parcellizzato delle conoscenze, finendo per non dare il giusto equilibrio alla formazione civica e solidale, a tutto vantaggio di un prevalere delle abilità tecniche, che seppur essenziali non bastano a formare cittadini( e lo vediamo quanto sempre più i giovani si allontanano dalla politica, ossia dalla partecipazione alle scelte che riguardano la nostra vita e la nostra esistenza), a politiche del lavoro precarizzanti, di cui sono stati maestri, Renzi con il Job act e Brunetta,sebbene al ministero della Funzione pubblica, teso più a smantellare che a valorizzare questo essenziale comparto.
Tutte queste visioni non sono altro che l’espressione dei diversi ideali e valori che l’area di centro già esprime, alcuni davvero poco conciliabili, con i valori che sottendono la nostra azione politica.
Vien da chiedersi allora se mai troverebbero una composizione oltre la mera strumentalità e l’opportunismo, che oggi campeggia in tutti gli ambiti della politica, sempre più movimentista e sempre meno strutturata, affetta com’è da inguaribile leaderismo, un tale caleidoscopio di visioni di paese nel confronto tra metodi antitetici, a cominciare dal differente modo di intendere il confronto politico, intessuto di autentica collegialità, tipico della DC e del più eclatante personalismo come invece è oggi in quasi tutti i partiti.
L’identica preoccupazione mi aveva indotto a lanciare un appello, ma in un diverso spirito, in un mio articolo di gennaio dello scorso anno sul quotidiano on-line “Politicamente corretto” dal titolo “La Democrazia Cristiana non perda l’iniziativa: subito una conferenza per una nuova costituente di centro” affinché fosse la DC, rinata, a promuovere, senza indugio, appunto, una conferenza per una nuova “Costituente di centro” perché (avviasse) un serio processo di confronto e di aggregazione delle tante formazioni moderate,cattoliche e popolari nel paese, animate da quegli ideali e valori che si riconducono ancora al modello di sviluppo e di governo che fu della Democrazia cristiana nei suoi cinquant’anni di vita politica.
“Un processo di ricomposizione - così scrivevo - non più rinviabile, della galassia democristiana nella sua naturale collocazione,distinta e distante da ogni velleitarismo populista, sovranista, giustizialista e pauperista, sotto l’egida di quel simbolo e di quel nome, che riattivi,in piena continuità storica, un rinnovato percorso politico, nell’intento di recuperare tutte quelle potenzialità, tutti quei filoni, tradotti, taluni, in apprezzabili esperimenti, in questi anni, e quelle capacità di rappresentare i territori, i bisogni e le diverse aspirazioni dei ceti sociali, di cui fu artefice fino ai primi anni ‘90”.
Cosa assai diversa dall’inoltrarsi in una commistione eterogenea tra filoni culturali e di pensiero (laico, cattolico-popolare, liberale e riformista), che per la intrinseca incompatibilità di approccio e di soluzione in molte materie di cruciale importanza nel paese, finirebbero per sancirne sul nascere una facile evanescenza in tempi brevi.
Ma non sono mancate le tesi più estreme per le quali si riteneva non più realistica la riproposizione della DC.
In un mio articolo del 26 ottobre scorso, in antitesi a quanto sosteneva l’emerito analista, Paolo Frascatore, per il quale rifare la DC sarebbe una impresa impossibile,così rispondevo:
“..Se da una parte può anche apparire fondata la considerazione che ogni storia politica difficilmente può riproporsi perché espressione di una contestualità che il progredire sociale e civile di una comunità non consente di riprodurre allo stesso modo, è la considerazione che Egli ritenga ineludibile che ci si prodighi nel rilancio di una forza di centro, che rende il ragionamento poco credibile. Sia nei termini di una compatibilità di questo tipo di iniziativa politica con l’attuale scenario delle forze politiche in campo. Sia nei termini in cui, nell’ipotesi dell’autore, un tale auspicato processo aggregativo non fa che presupporre, come requisito credibile, un partito che abbia un dna di centro, che esprima valori cattolici e democratici.”.
Ed ancora: “Ecco perché quel cammino intrapreso da un gruppo di coraggiosi promotori di dare riedizione all’unico partito che seppe mirabilmente mediare tra le tre matrici di pensiero senza traumi e derive populiste e sovraniste, facendo argine ad un blocco comunista assai temibile, anziché essere bollato di opportunismo andrebbe incoraggiato e sostenuto da tutta quell’area che oggi è dispersa in una costellazione di associazioni e movimenti. Un partito che si richiami al pensiero di Sturzo e si faccia portavoce delle forti disuguaglianze sociali che si sono sempre più incardinate e di una transizione ecologica nel segno di un reale Umanesimo integrale, non si può inventare di sana pianta, perché cadrebbe, sì, in quella trappola di “personalismo ed opportunismo” che Frascatore invece paventa come vizio congenito al processo in atto di ricostruzione di una nuova Dc.
Mentre non si coglie che quel processo ricostruttivo risponde ad una coscienza popolare che non ha mai abbandonato quegli ideali che trovarono espressione nella Dc. Una realtà che le consultazioni elettorali, soprattutto in Sicilia, grazie ad una risposta politica seria e coerente, hanno fatto riemergere. Ora se forza di centro vuol dire progetto politico che riaffermi con determinazione i valori fondamentali che la Carta costituzionale ha sancito, nella virtuosa sintesi tra le culture cattoliche, liberali e riformiste, vuol dire allora che si debba saper elaborare e proporre un progetto politico che riporti coesione sociale superando l’aspra contrapposizione tra i ceti che ha caratterizzato, anche per effetto di una politica sempre più estremizzata negli obiettivi, questi due decenni di governance del paese.”
O ancor prima in risposta alle tesi dell’esimio Marco Follini nel mio articolo del 9 giugno 2021 su Il Popolo:
“..L’Italia sta entrando nella fase cruciale di quel programma di ammodernamento, tra scadenze perentorie (cinque anni appena, ossia entro il 2026) e condizioni poco negoziabili, concordate con l’Ue ed affidarla bellamente a un sistema politico polarizzato che, dopo Draghi, riprenderà ad egemonizzare quell’elettorato, dove prevarrà, ancora una volta, quell’Italia “… che pretende soluzioni semplici e veloci a problemi complessi”, significa lasciarla in una deriva senza rotta con un modello di governance politica lontano un miglio dalle “…ragioni della mediazione, del dialogo, del confronto, della riflessione…”.
E poi quel patrimonio identitario si porrebbe, anche, come argine al culto del leaderismo, per la precipua caratteristica dei democristiani di avere nella cultura e nel dna un vero e proprio antidoto contro ogni intruppamento populista.”.
Non minore valenza vogliono avere queste argomentazioni anche per l’amico prof. A.Giannone, che qualche mese fa ha provato a offrirsi come tavolo neutro di incontro dei diversi filoni culturali non tutti espressione di una comune matrice democristiana, come plasticamente Egli propone: “Il Comitato scientifico della Fondazione Democrazia Cristiana “Fiorentino Sullo”,in questa fase di possibile riaggregazione di partitini e movimenti , proporrà di diventare il luogo indipendente del Centro per promuovere il dibattito e confronto , per offrire occasioni di Formazione politica di base ai Millennial e a chi vorrà servire la politica e non servirsi della Politica”..”per stare tutti insieme”.
Se da una parte non v’è che da plaudire per la sua disponibilità ad un dibattito così “aperto”, non così convincente appare la compatibilità del proposito di fare un lavoro di ricerca dei punti di comunanza e di convergenza dei vari “partitini e movimenti”, verso approdi ideologici comuni, perché assai impropria si palesa questa metodologia al compito di mezzo a fine, ossia, trovare un’intesa su un cosiddetto contenitore centrista con l’ausilio di un comitato scientifico, come fosse il frutto di un lavoro a tavolino, secondo un procedere tipico dei teoremi pitagorico-euclidei, in una materia, quella politica, che si plasma in una coerenza di lungo percorso - se non si vuole esporre il paese a politiche di corto respiro e non lungimiranti come è purtroppo da trent’anni - nel divenire degli eventi, nell’anticipare nuove tutele di diritti emergenti, nella progressiva riduzione delle diseguaglianze e delle iniquità e dello sfruttamento, nel delineare un modello di sviluppo equilibrato e rispettoso dell’ecosistema, nella efficienza dei servizi pubblici e della giustizia, nel crescente miglioramento della qualita’ della vita per ciascuna persona:il tutto legato da un solo fine, il bene comune.
Insomma storicizzarsi ogni giorno, ma senza mai perdere il filo ideale di quella cultura e della tutela di quei valori che sono alla base del patto costituzionale, mirabilmente scolpiti nella nostra Costituzione.
Quella Carta è il nostro punto di riferimento.
Come la sua strenua difesa e la sua piena attuazione deve essere il nostro precipuo dovere, preservandola da un’ opera di smantellamento che prima Renzi (per fortuna non riuscito) e poi i 5 stelle, con la mutilazione e lo stravolgimento del virtuoso rapporto del numero delle rappresentanze in relazione alle tipicità dei territori.
Basterebbe questo florilegio di ideali per convincersi quanto l’obiettivo di trasfigurare il partito in una eterogenea entità centrista, appaia inattuabile, o se mai riuscisse, assai effimero nella sua esistenza.
Non mi pare servano molti altri argomenti per non ritenere velleitaria ciò che la realtà partitica odierna ha dimostrato di essere in tanti passaggi della vita istituzionale di queste ultime legislature, con facili mutazioni trasformiste, scorciatoie populiste e inusitati cambi di linea che hanno messo a dura prova le coalizioni e spesso anche la compattezza e la coerenza di una stessa forza politica, oltre all’indecoroso spettacolo che lo spaccato di una settimana di continui coupé du tertre ha offerto agli italiani in occasione del rinnovo del Capo dello Stato, per non poter affermare che filoni culturali diversi e eterogenei difficilmente possono percorrere - anche per gli effetti di quel fenomeno progressivo e spersonalizzante che sta assumendo la vecchia stratificazione della società, sempre più liquida e cangiante, come magistralmente descritta, da Zygmunt Bauman - sotto una stessa identità di partito o di formazione, un cammino politico capace di andare oltre un anno di una legislatura, ossia quanto mediamente dura un governo nel nostro paese.
Così che non ci sembra azzardato affermare che le mediazioni in politica non servono per progettare ammucchiate tra forze eterogenee ma per elaborare proposte serie e coerenti.
Mentre più realistica puo’ rivelarsi una confederazione di centro secondo linee comuni, pronta a predisporsi per alleanze programmatiche sia in una dimensione proporzionale che maggioritaria.
Sono convinto che anche l’amico Bonalberti convenga nel ritenere,a questo punto, compito ineludibile della DC guidare questo processo di ricomposizione, anziché pensare a inappropriati paludamenti, e proporsi come punto di saldo riferimento di quel patrimonio di ideali e di valori che ancora oggi hanno bisogno di una rinnovata declinazione nelle politiche di questo nostro paese, facendosi presidio insormontabile in difesa della democrazia e del suo essere fonte inesauribile di riconoscimento e di tutela dei diritti e delle libertà, ma anche artefice di mediazione per la convivenza civile e pacifica tra i popoli, condizione ineludibile per l’affermazione della dignità e del benessere di ogni persona.
Ce lo impone, a maggior forza, uno scenario dove alla grande preoccupazione per un quadro economico e sociale alle prese con una prospettiva di stagflazione, dai prevedibili effetti devastanti per l’ammodernamento e lo sviluppo dei nostri territori, si aggiunge la palese angoscia per la minacciosa guerra, in terra ucraina, alle porte dell’Europa.
Mi auguro si possa uscire presto dalle secche di questo specioso ed inconcludente dibattito se non vogliamo ritrovarci come il Senato di Roma durante l’assedio di Sagunto ad opera di Annibale, di cui ce ne da conto l’amaro commento di Tito Livio: “Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur”.
Luigi Rapisarda