C'è un'Italia vogliosa e dinamica che sta progressivamente recuperando competitività ma immersa in un presente immanente, ancora attanagliata ad una visione economica di corto raggio.
Mentre lo sfruttamento senza freni delle risorse naturali è quasi ad un punto di non ritorno.
Ma anche la “mano invisibile” del capitalismo senza freni che ormai domina il sistema economico globalizzato appare sempre più implacabile.
Assistiamo impotenti a delocalizzazioni improvvise da parte di imprese sempre più multinazionalizzate, non motivate da forti crisi aziendali ma da obiettivi di riduzione del costo del lavoro, con licenziamenti collettivi fatti, con una crudezza inaudita, ad horas, con mail o via webcam, con costi sociali inimmaginabili per famiglie e welfare.
Mentre il governo sembra trovarsi senza armi efficaci per tutelare le migliaia di posti di lavoro che giornalmente si stanno perdendo.
È evidente che navighiamo nella pressante esigenza di preservare il nostro pianeta affinché non diventi inospitale, ma con il serio dilemma che un rapido capovolgimento dei sistemi produttivi non metta fortemente a rischio i livelli di occupazione.
E non ha torto Giuseppe De Rita quando afferma che, nonostante una pandemia che ha sconvolto il nostro modo di essere con gli altri, continuiamo a marciare in un eterno presente facendoci perdere ogni idea di futuro.
È certamente una situazione che nessuna forza politica può ignorare soprattutto se si considera che ci stiamo appena avviando in una fase di profonda transizione ecologica, digitale e produttiva ove si richiedono cambiamenti epocali.
A fronte di ciò fa un certo effetto lo spettacolo che da un po' di tempo è in atto da parte di alcune forze politiche di provare a ritagliarsi un nuovo posizionamento attorno a progetti aggregativi di pura facciata, senza la benché minima indicazione di contenuti e progetti di sviluppo, come appare essere la forsennata corsa al centro che da un po' di mesi sta vedendo le tante forze ancillari del centrodestra e del centrosinistra, alla ricerca di una nuova identità da spendere, intanto, in vista dell’imminente elezione del nuovo Capo dello stato, e poi chissà..
E i proconsoli, da voci di stampa, sono già al lavoro per stringere alleanze e nuove cordate senza perdere d’occhio gli sviluppi, al momento non facilmente pronosticabili, dello scenario post Quirinale.
Ma tra ambizioni irrefrenabili, insofferenze sui metodi e incompatibilità caratteriali, la partita sembra avere corto respiro.
Con queste premesse andare a ritroso nella storia immaginando di ripristinare artificiosamente un metodo che la DC poté sperimentare proficuamente in quanto partito di maggioranza relativa, porterà solo cocenti delusioni e danno al paese.
Una cosa fu infatti la creazione di alleanze innestando armoniosamente alcuni punti identitari delle forze coalizzate in un quadro organico di cui la Dc se ne faceva garante.
Un’altra cosa è imbastire un compromesso di visioni e progetti di paese alternativi o poco sussumibili entro un comune denominatore di ideali e di valori.
Altalenando tra statalismo, solidarismo e liberismo sfrenato, quale sintesi può immaginarsi tra chi si è reso quasi organico allo schieramento che invoca la Flat tax, un maggior recupero di sovranità monetaria, una tendenziale riduzione della sfera di poteri dell’Unione, una salda alleanza con leader autocrati che hanno sfigurato i sistemi di democrazia nei loro paesi(Ungheria, Polonia, Bulgaria)e chi propugna un ruolo più incisivo dello Stato in campo economico per ridurre le aree egemoniche e tentacolari della finanza dei poteri forti ed un allargamento di poteri alle Istituzioni europei in materia di difesa, politica estera e tutela del lavoro.
E mentre questo corpo nebuloso appare tutto da verificare la copiosa messe di finanziamenti del Recovery fund, attende risposte tempestive e credibili.
Che tradotto in poche battute significa mettere in campo un nuovo e più efficace modello di sviluppo per supportare l’ampio rinnovamento infrastrutturale e produttivo che richiede l'attuazione del Pnrr.
L’occasione ci consente di ripercorre gli sviluppi di un pensiero (Maritain, Sturzo e altri) che lega lo Stato alla tutela del bene comune e iscrive la funzione dell'azione politica come servizio alla solidarietà con al centro delle relazioni sociali la persona i suoi diritti e i suoi doveri.
Nodo cruciale nel quale c'è un punto d’incontro tra il pensiero liberale e il modello di economia solidale che discende dalla dottrina sociale della Chiesa.
Tematica che ha trovato dentro quel filone liberale, rappresentato principalmente da Wilhelm Ropke, preziosi approfondimenti fini ad auspicare una sorta di Umanesimo economico, come terza via tra Liberalismo e Socialismo, capace di dare ampia compatibilità e simbiosi, appunto, con le radici del solidarismo cristiano a presidio della tutela primaria della persona e della sua dignità e che ha trovato ulteriore vivificazione nella declinazione che Papa Francesco ha dato del modello di Umanesimo solidale.
In questo quadro, particolare interesse sembra destare l’inedito manifesto programmatico, con il quale l’amico Bonalberti ci propone dalle pagine de Il domani d’Italia del 27 giugno scorso, un'idea balenata già qualche tempo fa.
A dire il vero sono tematiche che da tempo hanno avuto elaborazione critica nel pensiero sociale cristiano, sensibile a che lo Stato presidi normative nei settori chiave, come il sistema bancario, in modo che non esponga oltre limiti ragionevoli, risparmio e patrimonio, che ha la sua prima fonte nel lavoro, alle insidie delle speculazioni finanziarie, per il perseguimento di profitti ad ogni costo.
Ne troviamo traccia anche nei tanti vibrati moniti di Papa Francesco, affinché le scelte politiche, e soprattutto di politica economica, non siano alla mercé di potenti lobby sovranazionali e non perdano l’obiettivo dell'uguaglianza, pietra miliare della democrazia e del bene comune sugli interessi economici.
Quindi proprio nel solco della riduzione di ogni disuguaglianza e la tutela della dignità della vita di ogni persona, si pone prepotentemente, in questo nuovo scenario di ripresa e di rinnovamento generale, la questione del ruolo e della funzione delle banche, della dimensione e della graduazione della sovranità monetaria e del connesso tema della vigilanza, del prezzo del denaro e del pericolo del perdurare del primato dell’economia sulla gestione della cosa pubblica.
Quello che non convince della proposta di Bonalberti è il dato assiomatico secondo cui senza modificare quegli assetti ordinamentali i grandi interessi economico-finanziari troverebbero facile modo di sfuggire al primato della politica.
Gli è però che quella copiosa messe di interventi (ne sono elencati 21) che si propone di mettere in campo, sembra un corpo senza anima perché non si innesta in un programma economico di lungo respiro, coerente con un progetto di paese che sia in grado di rilanciare un nuovo modello di sviluppo, compatibile con gli impegni e le direttive comuni europee.
Così non appare sufficiente limitarsi all’apodittica enunciazione come fosse: ”L’unico programma politico che, tuttavia, consentirebbe ancora, dopo 25 anni, lo sviluppo dello stato italiano e della sua classe media (94% della popolazione italiana) e che renderebbe tecnicamente possibile ogni altro obiettivo in qualsiasi altro settore..”.
Sono convinto che l'amico Bonalberti abbia voluto solamente lanciare un sasso nello stagno per contribuire ad avviare un dibattito forte e profondo.
Con altrettanta franchezza mi pare doveroso affermare che non può essere solo il versante creditizio e della vigilanza sulle banche il fulcro per avviare le condizioni di risanamento del nostro sistema economico-finanziario.
C'è un vuoto che non appare minimamente trattato dal nostro amico: ed è tutto il versante della tutela del lavoro dalle azioni sempre più insidiose di aziende multinazionali, ormai senza freni e senza scrupoli che, guidati dall’unico obiettivo del profitto a qualsiasi costo, giocano con il loro capitale umano alla roulette russa con licenziamenti subdoli e improvvise di masse di lavoratori, con tutte le conseguenze drammatiche che si possono immaginare per le tante famiglie coinvolte.
C'è tutto un campo di riforme essenziali che l’Italia dovrà intraprendere, ma di cui non vediamo traccia rassicurante nei tanti contenuti programmatici delle attuali forze politiche dominati da visioni demagogiche, populiste e giustizialiste.
Mentre la sapiente opera di Draghi non potrà che garantirci, allo stato delle cose, fino a fine legislatura, ossia fino a marzo 2023, sempre che non venga eletto Capo dello Stato, perché il dopo è tutto un affare in mano alla coalizione o all’aggregato di forze che ne uscirà vittoriosa dalle urne.
Mentre difficilmente, pur in un sistema proporzionale, potrà ripresentarsi un esito tripolare come nel 2018.
Sono convinto che un lavoro di profonda elaborazione, nel solco di
quegli ideali e quei valori sperimentato in cinquant'anni di esperienza DC, ci consentirà di proporre un progetto di futuro con cui si potrà costruire un'Italia migliore.
Certo sono obiettivi di un certo spessore. E tra essi potranno trovare posto anche quei punti proposti da Bonalberti e le tante normative di settore da modificare: dal recupero di margini di sovranità monetaria nazionale, soprattutto sul piano di una più serrata vigilanza, al riconfinamento delle finalità delle banche, dalla forte tutela del risparmio, alla stretta sui fondi di investimento, speculativi e, cosiddetti, tossici.
Temi che non lasciano inerte nessuna coscienza politica.
Un groviglio di questioni su cui certo non si possono avere idee occasionali o non ampiamente dibattute.
Vale pertanto la pena incanalare tematiche di così ampio spessore, a patto che siano espressioni coerenti di un piano economico di nuovo modello di sviluppo, in un confronto a largo raggio nelle tesi programmatiche che il partito si avvia ad elaborare e discutere in vista del XX Congresso.
Ed ovviamente in questo compito conoscitivo la prima domanda riguarda la giusta coerenza tra la realtà socio- economico-politica ed il ruolo e l’impegno con riferimento ai valori e agli ideali che seppe esprimere il partito, nel suo cinquantennio politico-istituzionale, in questa difficile fase storica nella quale il paese sta pagando un vuoto di rappresentanza.
Serve insomma un progetto di paese che assicuri sviluppo equilibrato e sostenibile e coesione sociale nel quadro di una diversa organizzazione della produzione industriale capace di assicurare meno precarizzazione del lavoro e più benessere per tutti.
Ma altrettanto importante si rivelano tante altre misure come l’adeguamento della scuola alle nuove realtà e bisogni formativi, l’incentivazione delle natalità e della famiglia: prioritario nucleo di protezione, formazione ed educazione alla convivenza ed alla solidarietà, rapporti saldamente costruttivi con l’Unione europea e una più salda ricollocazione nel sestante Atlantico.
E poi vi è il grande capitolo della riforma del Csm e della giustizia, precipuo fattore di mantenimento della convivenza civile, che non sarà cosa agevole perché un profondo riassetto richiede ampia condivisione.
Ad esso si aggiunge il forte tentativo di colonizzazione di cui è fatto da tempo bersaglio il nostro sistema industriale, senza che si sia stati in grado di opporre adeguatamente una efficace politica di difesa degli asset industriali e dei nostri gioielli del Made in Italy più strategici, ridotti a condizioni di massima vulnerabilità.
In questo sforzo sarà provvidenziale il contributo culturale delle diverse matrici di area: preziose leve che alimentarono il sano correntismo dei primi due decenni democristiani.
Quei filoni ideali e culturali furono linfa e antidoto ai non pochi tentativi di scavalcare da un fianco all'altro le capacità di risposta del partito, che seppe sempre trovare tra i propri membri e con validi contenuti progettuali, l'assunzione di diretta responsabilità o di ineludibile coinvolgimento nell'ambito dei governi e delle massime istituzioni della nostra Repubblica, risposte adeguate, capaci di mantenere coesione e promozione sociale fino alla caduta del Muro di Berlino.
Il dramma di questa nostro paese è che tutto sta evolvendo in tempi rapidi verso sfondi di non facile convivenza tra i garantiti dai redditi del comparto pubblico e tutta la crescente platea della precarizzazione dei tanti lavoratori esposti ai rischi della gigantesca crisi del sistema imprenditoriale privato che, se già soffriva in tempi normali, l'emergenza covid19 l'ha esposto e reso ancora più vulnerabile.
Ed in questo quadro non è certo rassicurante vedere il forte sfilacciamento che questo governo sta rischiando per i frequenti tiri alla fune e i posizionamenti che si stanno strutturando con i giochi tattici che hanno allo sfondo l'imminente elezione del Capo dello Stato.
Atteggiamenti e scaramucce tattiche che servono solo per defatigare l’avversario, che guarda caso è anche alleato di governo (essendo FdI l’unica opposizione assieme a Sinistra italiana)e che solo l’autorevolezza di Draghi riesce spesso a disincantare con risposte che si affidano al buon senso del tecnocrate, ma che non ci rappresentano una specifica, se non personale, visione di paese.
Se davvero i prossimi mesi saranno cruciali per capire il trend economico, nel segno di una più salda stabilizzazione, non vediamo al momento misure efficienti capaci di arginare la tendenziale stasi occupazionale, oltre al fenomeno tutto italiano della scarsa attrazione del lavoro su tanti precettori del reddito di cittadinanza che non richiede alcuna prestazione in cambio.
Ma è soprattutto una efficace tutela dai licenziamenti, che dalla riforma Fornero al Job Act di Renzi si ritrova assai attenuata, che deve trovare una più rafforzata difesa normativa alle facili delocalizzazioni delle aziende nei paesi ove vi è un totale laissez faire su retribuzioni e tutela ambientale.
È proprio qui sta la soglia minima dell’equilibrio di un paese.
Se alle tante vertenze sindacali che il governo non è riuscito a risolvere si dovesse aggiungere un più diffuso impoverimento di larghe fasce sociali, che già oggi, a mala pena riescono a mettere in tavola un pranzo o una cena, nonostante l’ampliamento dei sussidi di Stato, si rischia un clima politico infuocato, con preoccupante crescita della propaganda politica nelle piazze ad opera di populisti e sovranisti di ogni risma, oltre a quella oramai quotidiana dei no vax.
E da lì, come la Storia ci insegna, i passaggi ai governi forti, di emergenza in emergenza, potrebbero trovare facile pretesto per erodere ogni presidio democratico.
Con tutti gli sfondi possibili.
Del resto, in questi mesi passati, Regioni della Mitteleuropa, come l'Ungheria di Viktor Orban e la Polonia di Kaczynski e Morawiecki hanno già di fatto trasformato le loro Repubbliche in un sistema politico accentrato.
Mentre anche i poteri forti e le oligarchie plutocratiche, che indirettamente governano il mondo scavalcando e condizionando le sovranità nazionali: artefici occulti che si identificano con la nota espressione "deep state" si mobilitano alla ricerca di un nuovo ordine mondiale con manifesti manichei e poco rassicuranti, di cui un piccolo assaggio lo abbiamo visto negli USA con l’epilogo drammatico della presidenza Trump, tentato di non cedere i poteri al neo eletto Joe Biden e in Brasile con un impoverimento senza precedenti che sta facendo seguito alla presidenza di Bolsonaro.
Eventi ben lontani dall'essere fattore di libertà, uguaglianza e solidarietà, che hanno persino trovato sostegno ed esaltazione in una minuscola parte delle gerarchie cristiane (con il documento- appello, di qualche anno fa, all'allora presidente Trump di Mons. Viganò) il che non rende rasserenante il futuro delle nostre comunità statuali.
Per questo non possiamo abdicare al dovere di mettere in campo tutte le nostre energie, in difesa dello stato di diritto e della Costituzione, affinché non si esponga il paese a svolte insidiose per la sua tenuta democratica.
Luigi Rapisarda