Le elezioni tedesche segnano un tornante nella storia della Germania moderna: la fine di un cancellierato durato ben sedici anni, quello di Angela Merkel.

In verità, già da tempo la Merkel aveva annunciato la sua intenzione di passare il testimone. Nessuna novità, quindi. Inoltre, prima di diventare Cancelliere era stata Segretario della CDU, il maggior partito politico tedesco di allora. Sono quindi vent’anni di carriera politica che la Merkel ha deciso di troncare.

Il vero fatto nuovo è la vittoria dei socialdemocratici, dopo i lunghi anni del predominio democristiano e l’ascesa, peraltro contenuta, dei Verdi e dei Liberali. Le incognite sulla formazione del nuovo governo tedesco sono molte, anche perché questi due ultimi partiti non nascondono le loro simpatie per la CDU, staccata di solo due punti dai socialdemocratici. Avremo almeno un paio di mesi di tempo per vedere cosa accadrà. L’ipotesi di un nuovo governo forse a guida democristiana non è così remota come farebbero pensare i risultati elettorali.

Cosa lascia in eredità la Merkel? I panegirici sono di prammatica, ma la verità, purtroppo, è un’altra.

La Germania, politicamente, è molto divisa. Sedici anni di governo consumano, e i risultati si vedono. L’ascesa dei Liberali e dei Verdi denuncia la scarsa sensibilità ai problemi ambientali. La Germania è rimasta ferma all’industria siderurgica e meccanica. L’auspicata conversione alla transizione ecologica è ancora di là da venire, I costi sono altissimi e ciò comporterebbe un onere fiscale non trascurabile. Ma un maggior onere fiscale, al momento, è impensabile.

Inoltre, il lungo governo Merkel si è scontrato con il problema ucraino (e, in parte, bielorusso). Problemi non risolti, ma tuttora aperti. Le buone relazioni Merkel-Putin hanno rinviato a data da destinarsi le soluzioni, tra le quali pesa il gasdotto, osteggiato dagli Americani che non vedono di buon occhio una maggiore dipendenza europea dal colosso energetico russo.

L’Unione europea è stata il banco di prova della Merkel nel destreggiarsi fra i rigori imposti a suo tempo al fragile governo greco e l’apertura, inaspettata, al Recovery Fund, vincendo le resistenze dei membri “virtuosi” dell’Unione. Stessa abilità nell’accogliere i profughi siriani e, ultimamente, afghani e nei negoziati con la Turchia per pagare, con i fondi comunitari, i campi di raccolta dei Siriani in Turchia perché non vengano in Europa.

Qualcuno ha parlato di “sensibilità femminile” per giustificare queste contraddizioni palesi, ma in realtà si è trattato di grande abilità diplomatica per garantire alla Germania una “copertura” europea dei propri problemi.

La Presidente dell’Unione, la von der Layen, è una creatura della Merkel, la sua longa manus negli affari europei. Non a caso prima di andare a Bruxelles era il Ministro della Difesa tedesco. Questo collegamento Merkel-von der Layen è stato prezioso per lanciare il Recovery Fund nel quale si sono ricompattate tutte le tensioni che potevano essere esiziali per l’unità europea.

Ora, la von der Layen è sola, con minore autorità. Una Presidenza dell’Unione, nel quadro delle difficoltà internazionali esistenti, è resa più fragile dall’assenza della Merkel e dall’incerta costituzione del governo tedesco.

Le sfide che l’Europa deve affrontare sono enormi, sul piano interno così come su quello internazionale. La transizione ecologica, inevitabile, è un problema per tutti, quasi drammatico, specie se accoppiato alla questione ambientale. Implica una gigantesca riconversione industriale, una profonda ristrutturazione del mercato del lavoro, un riassetto normativo fondamentale ed anche un’enorme quantità di risorse.

Sul piano internazionale, l’Europa dei Ventisette è sola, fragile e disarmata mentre venti di guerra provengono da ogni parte del mondo, dalle frontiere meridionali (Mediterraneo) a quelle balcaniche, dal Baltico alle sfide nucleari. L’America è lontana e richiusa su stessa, come un leone ferito dalle vicende afghane, e guarda più al Pacifico che all’Atlantico, la Nato è un orpello militare privo di consistenza, un esercito europeo è ancora in mente Dei.

L’eredità europea della Merkel, diciamolo pure, è disastrosa. È mancata una mente aperta sul futuro con una volontà determinata non tanto dai sondaggi elettorali quanto dalla necessità di dotare l’Unione di una strategia a medio-lungo periodo.

Nella politica di cabotaggio il governo Merkel è stato eccellente, duttile quanto necessitava, nell’interesse primario della Germania (com’è giusto) e, indirettamente, dell’Europa a guida tedesca, con l’accodamento arrogante ma servile della Francia.

E ora? Come si orienterà l’Unione fa le lusinghe cinesi, le titubanze nordamericane, la rigidità russa? L’Unione europea è un fragile vaso conteso per le sue ricchezze, ma un niente nel contesto del grande conflitto planetario strisciante tra Oriente e Occidente. La competizione tecnologica è la nuova guerra fredda tra giganti. Il Paese dei Nani sarà anche ricco, ma conta pochissimo. Al massimo, se va bene, seguirà il carro del vincitore, speriamo non in catene.

 

Stelio W. Venceslai