Nel nuovo assetto politico che si sta formando c’è un rimescolamento delle posizioni personali (poiché d’ideologico non c’è nulla) dei vari partiti.
Draghi ha messo in crisi il sistema tradizionale. In un certo senso, tutto è da rifare.
Sul piano politico, i fatti evidenti sono la crisi di 5Stelle (che fosse sul punto di esplodere non ha stupito nessuno), la crisi della gestione Letta nel PD (il ritorno del nulla) e il documento comune firmato dagli esponenti della destra a Bruxelles (perbacco, sanno scrivere?).
Sulla questione 5Stelle s’è già detto che è uno pseudo problema. Le contorsioni per non perdere il seggio alle prossime elezioni sono evidenti. Aggiungasi che, poiché il numero dei parlamentari è stato ridotto di un terzo, grazie al suicidio delle due Camere, La corsa all’elettorato sarà particolarmente difficile. È questo, in realtà, lo spettro che agita le menti dei pentastellati. Resta, poi, l’incognita del sistema elettorale. Quale? Solo nel nostro Paese la legge elettorale è una specie di gomma da masticare e frutti delle riproposizioni sono stati sempre amari per chi le ha proposte. Il Movimento, quindi, è alle prese con i misteri del “Garante”, le sicurezze di Conte, le incertezze dell’esito elettorale. A furia di seminare vento sta arrivando la tempesta.
Sulla questione PD, la gestione Letta sembra sbagliare tutto, ergendosi a giudice di chi può stare o non stare nell’attuale maggioranza, credendo d’essere ancora il Presidente del Consiglio. Il concorso di 5Stelle, su cui puntava per un’alleanza stabile, è in forse. Inoltre, a Roma Milano e Torino, PD e 5Stelle sono irreparabilmente divisi. La crisi pentastellata rende effimera l’ipotesi di un blocco delle sinistre che avanza verso il centro. Letta è convinto che sparando parole grosse contro Salvini e proponendo progetti irrealizzabili possa continuare a restare in sella. La sua sicurezza, però, dipende solo dall’inconsistenza del gruppo dirigente del PD che non ha né personaggi di rilievo da opporgli né idee da proporre. In fondo, l’unico rispettabile è stato lo Zingaretti che ha buttato la spugna dicendo ai suoi compagni di partito: fate schifo. Lui se ne è andato ma lo schifo è rimasto.
Vediamo ora questo così discusso manifesto europeo della Destra che scandalizza tanto Letta.
In politica, è ovvio, esistono posizioni concettuali diverse. Forse questo è strano per Letta, abituato al pensiero unico. Che posizioni assimilabili tendano a diventare comuni e ad esprimersi in un gruppo parlamentare è cosa altrettanto ovvia. Dov’è lo scandalo? Lo scandalo sembra essere nelle idee.
I sovranisti uniti fanno paura? Non credo. Dovrebbe far paura, piuttosto, il consenso che raccolgono nei vari Paesi Europei.
L’Unione europea non è un’isola felice. È un meccanismo logorato dal tempo, creato in un momento profondamente diverso. I meriti dell’Unione sono stati molti e, in genere misconosciuti. Quello che meglio si poteva fare non si è fatto proprio per l’opposizione di taluni Paesi importanti (e, in particolare, della Francia e, a suo tempo, del Regno Unito). È rimasta l’ambiguità fondamentale: federazione o confederazione? Si è trovata una formula intermedia che non scontentasse nessuno e che ha funzionato fino ad un certo punto.
Ora, la situazione è profondamente diversa.
Negli anni ’50 c’era la guerra fredda con il monolite dell’Unione Sovietica. Oggi, se mai, la guerra fredda si ripropone su uno scenario mondiale, con la Cina, la Russia di Putin e il mondo arabo-islamico, perennemente in tumulto.
Che ruolo può avere questa Europa costantemente ricattata dagli Stati Uniti, inerme dal punto vista militare, tanto opulenta quanto ferita economicamente dalla pandemia?
Non è facile una risposta.
La reazione dei partiti di destra è di tornare a valori tradizionali della famiglia, del passato giudaico-cristiano (e l’influenza araba in Europa non esiste?), alla riscoperta delle varie identità nazionali che, peraltro, nessuno ha soppresso. Se mai, l'Europa ha messo un freno all'attitudine dei Paesi membri di truccare le carte. La verità è che la Destra europea si oppone alla burocrazia comunitaria e alle regole comuni in economia, che tolgono l’ossigeno alle porcate dei vari governi nazionali. Inoltre, è indubbio che il meccanismo delle nomine sia profondamente antidemocratico. Il Parlamento europeo non è il Congresso degli Stati Uniti e il Presidente dell’Unione non ha i poteri né di Putin né di Biden. È solo una patetica imitazione del primus inter pares.
Ci va bene così o vorremmo qualcosa di diverso, con responsabilità chiare fra l’Unione e gli Stati dell’Unione? Così come vanno le cose, vanno assai male. L’abbiamo visto con la storia dei vaccini. È indubbio che occorra dare un senso politico a un Unione che politica non è ma solo economica. E in economia, si sa, vince solo il più forte, non il più nazionalista.
Se la formazione del gruppo parlamentare di destra, sprezzantemente definito sovranista, desse l’occasione, finalmente, a un dibattito serio sui temi fondamentali della struttura dell’Unione, sarebbe la benvenuta.
Non possiamo fare a meno dell’Europa, intendiamoci. Non possiamo immaginarci pulviscolo attorno ai sistemi solari americano, russo e cinese, ma dovremmo immaginare delle correzioni di rotta per una patria comune europea. La rivalutazione delle identità nazionali non è contro la ricerca di un’identità culturale europea. Dovrebbe esserne la premessa.
La 1° Guerra mondiale affratellò nel sangue Italiani del Nord e del Sud, costretti a far fronte unito contro i rischi delle trincee e la morte in battaglia. Dobbiamo aspettarci un’altra guerra mondiale per sentirci fratelli europei?
© Stelio W. Venceslai