Le elezioni americane interessano tutto il pianeta e chi sostiene che gli Stati Uniti siano in declino dovrebbe ravvedersi. Ciò che accade a Washington interessa tutti.

Trump, 47° Presidente degli Stati Uniti, torna alla Casa Bianca con una netta maggioranza, senza equivoci o imbrogli, veri o presunti.  L’America si è espressa e il suo giudizio va accettato. La delusione del partito democratico è profonda. Dopo Obama ha perso il potere.  La Presidenza Biden, data la natura dell’uomo, è stata positiva ma oscillante sino alla fine quando, per ragioni fisiologiche ma anche politiche, ha gettato la spugna e indicato la Kamala Harris come suo candidato. Troppo tardi e con una figura rimasta in ombra per tutto il periodo della presidenza Biden.

Ora prende il timone un Presidente muscolare. Ha promesso e vantato grandi soluzioni. Il potere di cui può disporre è sconfinato, ma la realtà delle cose è più forte delle sue vanterie. 

Ciò che prevale è il suo interesse per l’America e per i problemi americani.  È giusto, e la sua campagna elettorale è stata soprattutto volta alle questioni di politica interna. Il mondo non lo interessa o, almeno, viene in secondo piano e l’Europa da ultima.

Ciò che riuscirà a fare all’interno del suo Paese: emigrazione, aborto, diritti civili, non ci riguarda che relativamente. 

Alla periferia dell’Impero americano, invece, restano sospese tutte le grandi questioni del momento, quelle che più ci interessano direttamente: i rapporti con la Cina e Taiwan, la questione del Medio Oriente, il conflitto russo-ucraino, la funzionalità della NATO.

A stare alle sue dichiarazioni, in primis, si profila una guerra commerciale con la Cina e con l’Europa, accomunate dal fatto che si esporta in America di più di quanto non si importi. Questo sarà un guaio per l’Europa (e per l’Italia), perché la Cina riverserà i suoi prodotti in Europa, se non potrà venderli negli Stati Uniti. Ciò comporterà, da noi, ulteriori barriere doganali, prezzi in rialzo e un’inflazione crescente. Non credo che le restrizioni doganali siano la soluzione migliore per il commercio mondiale. Chiudersi nell’isolazionismo economico, storicamente, ha sempre avuto un impatto negativo.

Le questioni, però, non sono soltanto economiche ma anche monetarie. La situazione politica internazionale è in movimento. I BRICS vogliono fare a meno del dollaro nelle loro transazioni commerciali. Per quanto tra loro divisi in questo hanno trovato un’intesa che, però, al momento, non è ancora operativa. L’avvento di Trump potrebbe accelerare questo processo.

Sempre in relazione alla Cina, poi, c’è il problema di Taiwan che significa il controllo o meno del traffico mercantile in quell’area del Pacifico di un interesse strategico eccezionale. Gli Stati Uniti da sempre si sono fatti garanti dell’autonomia (se non della sovranità) di Taiwan. Qual è il Trump pensiero in materia?

Passiamo al Medioriente? Netanyahu si vanta d’essere amico di Trump, ma Trump continuerà a fornirgli le armi che gli ha fornito Biden? Tra i sostenitori di Trump ci sono gli Arabi americani che erano contro la politica di sostegno ad Israele perseguita da Biden. Contraddizioni della politica. 

Il punto di vista palestinese (ed arabo), in genere, è uniforme: gli Americani sono nostri nemici finché sostengono Israele.

Israele, in questo momento, è contro tutti: Hamas, i Palestinesi, il Libano, gli Hezbollah, lo Yemen degli Houthi, l’Iran e la Siria. Il famoso Patto di Abramo è nascosto in un cassetto e tirarlo fuori, in questo momento, non è certo opportuno. La conclusione è che forse potrebbe profilarsi una tregua ma è più probabile che Trump dia mano libera a Netanyahu. Spazzati via Hamas, Hezbollah e Houthi, poi si discuterà.

Restano, si fa per dire, le velleità iraniane con le quali fare i conti. Gli Stati Uniti sono la bestia nera del regime dei preti. Il Gande Satana impersonato da Trump resterà tale per Teheran che starebbe preparando una reazione “devastante” contro Israele e gli Stati Uniti. Come la prenderà il muscoloso Trump?

Sulla questione russo-ucraina la notte è ancora più fonda. Gli Ucraini sono in difficoltà evidente, specie ora che a dar man forte ai Russi si aggiungono 10.000 soldati nordcoreani. Non saranno certo decisivi ma il conflitto si sta internazionalizzando. Putin, in realtà, è sempre il più forte, ma è anche sempre più dipendente dai suoi alleati: dalla Cina, cui vende a basso prezzo le proprie risorse petrolifere, dalla Corea del Nord, da cui si approvvigiona di armi e di soldati, dall’Iran da cui acquista i droni.

Zelenski invoca armi e aiuto dall’Occidente. L’Europa simpatizza per lui. Più dichiarazioni di sostegno che armi a lunga gittata.

Trump, invece, non ha speso una parola per l’Ucraina. Per lui è un Paese sconosciuto. Ma ciò ci porta direttamente alla questione europea, perché un armistizio, e non la “pace giusta” che si auspica in Occidente, significherebbe progressivamente il ritorno dell’Impero sovietico sulla scena mondiale. 

Sappiamo ciò che Trump pensa dell’Europa e della NATO. Dell’Europa non gli importa nulla e, per la Nato, o gli Europei pagano il dovuto o l’America se ne va.  Nella sua visione strategica l’America può fare a meno dell’Europa, ben sapendo che l’Europa non può fare a meno dell’America.

L’alternativa sarebbe attrezzarsi militarmente, ma occorre una volontà politica che non c’è, servono quattrini che mancano, c’è un’inerzia fatale che ci rende non solo una periferia poco importante dell’Impero ma anche schiavi ossequienti dei ghiribizzi di un qualunque Presidente americano.

La solitudine politica nella quale piomba l’Unione europea con l’elezione di Trump ha un solo possibile risvolto politico positivo: la paura.

Potrebbe essere finalmente lo stimolo necessario per gli Stati Uniti d’Europa, con un esercito, una politica estera, una personalità internazionale politica e non solo mercantile.

Avremmo delle carte importanti da giocare e non solo sul Baltico o il Mediterraneo, ma anche sull’Atlantico. Utopia? La paura fa miracoli.

 

 Stelio W. Venceslai