C’è un’annosa questione che da tempo impensierisce il partito.
La riappropriazione del proprio simbolo, o per meglio dire il suo uso spendibile nelle consultazioni elettorali.
Stiamo parlando dello storico scudo crociato che da più di cinquant’anni ha caratterizzato e identificato il partito della Democrazia Cristiana.
Ora non c’è occasione elettorale nella quale, come è noto, ogni partito deve indicare il proprio simbolo con cui si è identificato davanti i propri elettori e nel sistema politico, che la DC non trovi il concomitante uso del proprio simbolo ad opera dell’Udc, nella pretesa di essere essa titolata al legittimo uso per effetto di una spendibilità di questi ultimi anni.
Così è che applicandosi in sede elettorale il diritto al pre-uso la DC si vede costretta a dover cambiare simbolo o altrimenti rinunciare alla competizione elettorale.
Il groviglio appare ancora più inestricabile, visto che il problema si pone in tutti gli appuntamenti elettorali, per la peculiarità della fonte normativa in materia elettorale, semplicemente finalizzata ad assicurare, con valutazioni in tempi brevissimi, che non vi siano confondibilità tra i simboli - prescindendo da ogni diatriba in merito a proprietà o titolarità storiche dei simboli - avendo come unico elemento valutativo dirimente il fatto che il simbolo non sia stato o meno precedentemente usato da una forza politica, nel qual caso la sua riproposizione ne fa automaticamente conseguire il legittimo uso, escludendo l’altro anche se di quel simbolo ne fosse proprietario.
Questa anomalia si verifica da quando l’Udc inopinatamente assunse come proprio segno identificativo il simbolo dello scudo crociato approfittando del fatto che in quegli anni la DC, a seguito delle note vicende di tangentopoli aveva perso ogni presenza nel sistema politico dopo un frettoloso ed atipico scioglimento proposto dal segretario di allora Mino Martinazzoli, dando vita al Ppi.
Uno scioglimento che tanti avevano intravisto come atipico e non conforme allo Statuto.
Ci volle una sentenza del Tribunale di Roma, n.19381/2006, confermata dalla Corte d’Appello e poi dalla Corte di Cassazione, con sentenza a Sezioni unite, n.25999/2010, in tema di uso e titolarità del nome e del simbolo, a restituire la verità degli eventi, affermando che quello scioglimento pronunciato non era stato conforme a statuto e quindi statuendo che “la DC non si è mai sciolta”.
Ne conseguiva come corollario che il partito potesse riprendere in ogni momento la propria attività politica con l’adozione di ogni elemento identificativo tipico della suo profilo storico con cui era conosciuto e si presentava al corpo elettorale in tutte le occasioni, nazionali, locali e politiche della sua lunga attività, a partire dal 1943, anno della sua fondazione.
Ora è di queste settimane un provvedimento giudiziale del Tribunale civile di Roma, sezione 16’, giudice Goggi, che per i più frettolosi sembra dare legittimazione all’uso del simbolo scudo crociato da parte dell’Udc.
Esso in realtà è la risultante di un procedimento cautelare che tendeva ad assicurare tutela anticipata ad un’azione di ordinaria cognizione con cui si rivendica legittimamente la piena titolarità del simbolo per essere questa DC la diretta continuazione del partito che fu fondato da don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi.
Il fatto è che questa azione ex art. 700 cpc, seppur giustificabile, proprio per la scelta di avvalersi del procedimento sommario, che riconosce mezzi assai ridotti in materia di prova, in confronto al giudizio ordinario, mi è sembrata quantomeno inopportuna e controproducente il cui esito infausto potrà prestarsi, come succede nel confronto politico, a letture strumentali o arbitrarie.
Scenari che vanno fugati sottolineando il fatto che qui il diniego della tutela invocata trova il suo assunto nella circostanza che, a giudizio del giudice, non si sia adeguatamente e sufficientemente provato il fatto che questa DC sia l’unica a poter rivendicare continuità storica e politica, in conformità allo Statuto, con la storica Democrazia Cristiana.
Così per contro si è finito con l’effetto boomerang, ossia che la sommarietà dell’istruttoria, quale è il modello processuale della tutela cautelare, ha finito per non rendere facilmente esperibile il quadro probatorio della piena conformità della riorganizzazione della DC e della sua legittima rivendicazione di agire nella continuità storica con essa.
Purtroppo il provvedimento citato non è privo di conseguenze perché da una parte, rende inevitabile la necessità di ricorrere ad altro simbolo, non si sa per quanti anni - come peraltro al momento si è dovuto fare, con il rischio di una non facile riconducibilità da parte degli elettori al partito della Democrazia Cristiana cui si intende dare continuità in conformità alle regole dello Statuto - dall’altra perpetua come legittima un’appropriazione del logo che per più di cinquant’anni ha identificato la DC.
Il fatto è che un compito processuale così articolato ed impegnativo, non poteva conciliarsi con il tipo di procedimento governato dalla sommarietà, che non ha potuto consentire, anche in mancanza di un contraddittorio allargato alle tante sedicenti associazioni DC, un’adeguata istruttoria e l’acquisizione di ogni prova capace di comparare alla correttezza e conformità allo Statuto di questa DC, le ampie inadeguatezze e violazioni statutarie delle tante associazioni che rivendicano altrettanto di rappresentare la DC.
L’amara conclusione è che a questo punto bisogna concentrarsi sul giudizio ordinario, l’unico che assicura un pieno e approfondito contraddittorio tra le parti, intendendo per essi non solo l’Udc, ma anche tutte le entità sedicenti di rappresentare la vera Democrazia Cristiana.
Giudizio che ovviamente si snoderà secondo i normali tempi della giustizia odierna, quindi con una pronuncia non certo in tempi ravvicinati, ma con ogni più ampia tutela, e qui si verte in tema di diritti personalissimi (il partito in quanto associazione non riconosciuta fa capo alla normativa dettata a tutela delle persone giuridiche) rispetto all’ottica della mera tutela dei segni distintivi, applicata in sede elettorale.
Ovviamente comporterà un litisconsorzio necessario, vale a dire citando tutte le sedicenti associazioni o partiti che pretendono di rappresentare la storica Democrazia Cristiana, con tutte le conseguenze in termini di tempi di risposta della giustizia.
Mi auguro che questo tema, così cruciale per l’identità e il futuro del partito, possa trovare ampio spazio in un Consiglio Nazionale che chiedo al Presidente R. Grassi di convocare, prima possibile.
Luigi Rapisarda