All’indomani dell’ammutinamento prima e del tentativo di colpo di stato dopo del gruppo Wagner, una cosa è certa: nessuno ci ha capito nulla e il fatto che oggi si dica in giro che Putin e Biden lo sapevano già da qualche giorno prima è una sciocchezza.
Il capo della Wagner, Prigozhin, ha fatto il suo colpo nel segreto più assoluto. Perché l’ha fatto?
Qui si sbizzarriscono le ipotesi. Che fosse in costante polemica con il Ministro della difesa russa è noto, ma non si spostano 20.000 uomini e centinaia di carri armati per cambiare un ministro. Forse, l’ipotesi più rrealistica è quella di opporsi alla decisione d’incorporare il gruppo Wagner nell’esercito russo, sottraendogli quell’autonomia che gli ha permesso di operare indisturbato in tutto il mondo. Ciò avrebbe decretato anche la fine del suo capo. Ma i dubbi restano.
Prigozhin ha detto più volte che marciava su Mosca per riportarvi la giustizia. Ma che significa? Si vocifera di accordi segreti con i Bielorussi, con i Cinesi, con lo stesso Putin, ma sono chiacchiere. In realtà, nessuno sa nulla. Resta il fatto di una marcia senza opposizione da Rostov fin quasi a Mosca.
Un Putin pallido e teso ha minacciato sfracelli contro il tradimento di Prigozhin, ha lanciato un appello alla fedeltà e all’unità del popolo russo, ha detto le solite sciocchezze sulla storia del suo Paese (dovrebbe studiarla meglio) e poi è sparito. Gli oligarchi a lui legati hanno preso i loro aerei personali e sono spariti anche loro. Il Ministro della difesa, oggetto delle veementi accuse di Prigozhin, non ha detto una parola. L’unico che ha fatto qualcosa è stato il sindaco di Mosca, che ha decretato un giorno di vacanza per tutti.
In attesa della guerra civile, entra in scena la Bielorussia. Come partner internazionale Minsk vale quanto c’è nelle mie tasche: pochi centesimi. Lukashenko sa benissimo che se cade Putin in Bielorussia gli fanno la pelle. Interviene come mediatore e intanto mette la famiglia in salvo in Turchia.
Ha successo: la Wagner torna indietro, lascia anche Rostov occupata, scompare anche Prigozhin. Si dice che andrà in Bielorussia con tutti suoi. Ha deciso che vuole evitare un bagno di sangue infrarusso. Detto da uno che si fregia del titolo Il Macellaio, suona un po’ strano. Questi sono i fatti. Ora cerchiamo di capire.
Comunque vadano a finire le cose, il regime di Putin sta traballando di brutto. Troppi errori, troppe minacce, troppa iattanza. Il regime è marcio e la Russia è un Paese da terzo mondo che si fregia di un grande esercito sconfitto. Sta diventando un amico scomodo anche per la Cina.
Dopo le severe minacce che farà Putin? Se le rimangia? Con che faccia si ripresenta al popolo di tutte le Russie? Voleva essere l’emulo di Pietro il Grande per finire come Vladimir il piccolo, ma è già molto se esce illeso dal bunker. La storia è piena di buffoni tracotanti che poi fanno una squallida fine.
Che il salvataggio di Putin dipenda dall’amico bielorusso è un po’ curioso. Lukashenko cambia ruolo: da servo sciocco a mediatore essenziale. È ben vero che la sua sussistenza al potere dipende da quella Putin. Questi gli ha anche trasferito, a suo tempo, truppe ed armamenti nucleari. Per difendersi da chi? Nella geopolitica personale di Putin tutti sono nemici, tranne lui, Lukashenko e i Cinesi che, per fortuna, sono ancora fuori dal gioco e sono molto perplessi sull’affidabilità del regime russo.
Prigozhin scompare anche lui. Con le sue truppe? Si tratta di circa 30.000 uomini, pesantemente armati. Altri 20.000 sono dispersi in varie parti dell’Africa, a far danni. Sembra che non resti in Russia ma che si trasferisca in Bielorussia. Putin se ne libera ma lo scariuca a Lukashenko. Non a caso in Polonia c’è la mobilitazione generale.
Che ci va a fare il gruppo Wagner in Bielorussia? Sono possibili due ipotesi: la prima è che Putin non può tornare indietro, perdonando Prigozhin che, a questo punto, diventa il braccio armato di Lukashenko; la seconda è che si prepari uno sconfinamento della Wagner dal sud della Bielorussia contro il nord dell’Ucraina, schiacciando come una noce la resistenza di Kiev.
Questo significherebbe, però, l’allargamento del conflitto e il coinvolgimento di Minsk. La Polonia e la NATO resterebbero a guardare? Difficile pensarlo.
Lo sfascio dell’esercito russo è un’occasione imperdibile per Zelenski che potrebbe approfittarne per lanciare le truppe addestrate in Occidente e rimaste al momento fuori dalla contesa. Con queste sarebbe forse possibile il tracollo della resistenza russa.
È certo, però, che se si aprisse un altro fronte a nord, tutto cambierebbe. Le nuove divisioni dovrebbero essere impiegate contro la Wagner e i Russi provenienti dalla Bielorussia. L’attuale controffensiva ucraina perderebbe di mordente, dando tregua all’esercito russo impegnato nelle regioni del Donetz.
Se i comandi russi si rendessero conto che l’operazione speciale è, invece, una guerra vera e propria che stanno perdendo e non impiegassero truppe mercenarie o banditi usciti dalle patrie galere e arruolati in cambio della libertà, come dall’ultimo decreto in materia di Putin, la guerra finirebbe presto.
Un attacco dalla Bielorussia, un’agguerrita resistenza a sud e una manovra di penetrazione offensiva dalla Trasnistria moldava verso Odessa metterebbero rapidamente fuori gioco le difese ucraine. Questo sarebbe possibile se da parte russa funzionassero la logistica, i rifornimenti, i trasporti, se l’esercito fosse motivato e, finalmente, se ci fosse una strategia diversa dai bombardamenti a tappeto e dalla guerra di posizione di mezzo secolo fa.
Gli Ucraini hanno buon gioco con rapidità di movimenti, armamenti moderni e buone capacità logistiche. Inoltre, sono motivati. Hanno tutto ciò che manca agli avversari, tranne il numero. È questione di tempi. Se non approfittano del momento, fra un paio di settimane la situazione potrebbe rovesciarsi a loro danno.
In conclusione, se non intervengono rapidamente fatti nuovi conclusivi, il conflitto è destinato ad allargarsi.
Stelio W. Venceslai