La netta vittoria della coalizione di centrodestra a guida meloniana e la totale debacle di tutta l’area delle forze di centrosinistra, mentre ci impongono, ovviamente non in questa sede, il cui focus è altro, una seria e profonda riflessione su due degli aspetti più eclatanti di questa competizione elettorale, che ha riguardato il rinnovo dei consigli regionali di Lazio e Lombardia e i rispettivi governatori, ossia la totale assenza di progetti credibili e l’incontenibile ostilità tra le forze dell’attuale opposizione, e l’abissale disaffezione dell’elettorato, giunto ad una percentuale di astensione di oltre il 60 per cento, rende, quanto mai  urgente, l’avvio di un processo di ricomposizione dell’area popolare, cattolico democratica e sociale come risposta credibile al vuoto di idee e progetti e alla ulteriore accentuazione della polarizzazione delle forze politiche in campo.

Delineare, seppur brevemente, i tratti più significativi del popolarismo e della sua attualità, non può esimerci però da un fugace quadro del contesto politico odierno.

Nel diffuso malessere ultraventennale generato da politiche disinvolte, improvvisate, dal respiro corto, talvolta spregiudicate o intrise di populismo e sovranismo, oggi in una versione più soft, nel suo stop and go, quasi quotidiano che però sta cominciando a logorare il governo Meloni, si avverte, già da tempo, nel paese, un vuoto di valori, di metodi e di prospettive solide che per più di cinquant'anni caratterizzarono il nostro sistema politico in tutte le sue sfaccettature.

Vuoto che neanche la netta vittoria delle coalizioni di destra centro, nelle recenti elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia, con quell’oltre 60 per cento di elettorato che si è tenuto lontano dalle urne, sembra fugare.

Tanto che appare legittimo chiedersi, nel solco dell’analisi critica di Alexis de Tocqueville, di quasi due secoli fa, nella magistrale opera “La Democrazia in America”, dettata peraltro in un contesto non di così forte astensionismo, se sia inverosimile la percezione, in questa nostra attuale fenomenologia politica, di una vera e propria tirannia di una angusta maggioranza all’interno di una minoranza di elettori che va a votare.

Ma, v’è di più!

Con due elettori su tre che non votano e una ristretta minoranza a decidere nei territori, possiamo ritenere assicurato il presupposto sostanziale della partecipazione politica(tra cui è precipua la funzione e la credibilità dei partiti) che la nostra Carta Costituzionale annovera tra i capisaldi del principio di eguaglianza e del principio di rappresentanza politica?

Il fatto è che paghiamo ancora il prezzo pesante di quella tempesta giudiziaria che nel perseguire le singole violazioni penali, fini per abbattere l’intero sistema dei partiti.

Fu il netto annientamento di quasi tutto il sistema di quei partiti a rendere rapida la migrazione, persino delle istanze più identitarie dei ceti sociali, sempre meno aperte ad una visione comune, verso le nuove forze che si affacciarono.

Così capovolgendo quella metodica che aveva visto il sistema dei partiti, fino a quel momento, nella versione tradizionale, artefici di progetti del paese modellati su una visione organica e di lungo periodo - di cui la DC, primariamente, se ne fece carico - ne scaturì per paradosso, anche sulla spinta di una nuova legge elettorale maggioritaria, un nuovo e singolare modello di partito, costruito sulla persona del leader, volto più ad inseguire le istanze sociali, tanto più istintuali e mutevoli quanto più appetibili nel carpirne immediati consensi, che a costruire progetti politici fortemente radicati dentro una dialettica democratica di valori rappresentativi di autentici pezzi di società.

Mentre appariva sempre meno essenziale la formazione e la cura della classe politica, preferendo ad essa l’assoluta fedeltà dei quadri dirigenti e degli iscritti.

Non ha allora tutti i torti Pier Ferdinando Casini, il più navigato dei democristiani, finito come un naufrago in un Pd sempre più smarrito, nel disegnarci una realtà rappresentativa delle Istituzioni dove non sembrano trovarsi neanche le vestigia di quelli che furono canoni e metodi di governo con cui si raccordavano sapientemente istanze e aspettative dei ceti sociali nel rispetto dei quali i partiti della prima Repubblica, ed in primis la Democrazia Cristiana, seppero imprimere , con la miracolosa ricostruzione dell’Italia del secondo dopoguerra, un processo di modernizzazione dei territori senza precedenti.

Per troppi anni, privati del partito di riferimento, parte dell’area cattolica e popolare si è rifugiata nel disimpegno politico o nel volontariato sociale.

Tuttavia non sono stai in pochi a perseguire, in una odissea senza fine, velleitarie fusioni a freddo con culture post-comuniste, che purtroppo qualche eminente esponente non smette di vagheggiare, o con culture di stampo liberista, nell'intento, pur lodevole, di non disperdere quel patrimonio di idee, o talvolta, nell’ingenuo obiettivo di controbilanciare un eccessiva polarizzazione delle coalizioni, sia a destra che a sinistra.

In questo quadro non può ignorarsi il nobile tentativo di nuova edizione della DC, che ha già trovato, soprattutto in Sicilia, lusinghiera affermazione.

Non altrettanto si è verificato nelle altre province del paese dove la vecchia classe dirigente non è riuscita a divincolarsi da una sterile funzione di fedele custode di un passato politico, oramai archiviato.

Per contro, non poco rilievo devono invece aver avuto le cocenti delusioni, ed il fallimento di quei progetti ancillari, nell’uno e nell’altro versante e la profonda crisi del paese, che non sembra trovare soluzione nei tanti governi che si sono succeduti in questi anni, nel motivare il sempre più comune proposito di riportare nella pratica politica quei valori identitari e quei metodi che, ancora attualissimi, furono il portato della profonda riflessione di pensiero con cui don Luigi Sturzo disegnò, definendole con il termine popolarismo, le linee di condotta politica, per governare un paese senza mai debordare dalle connotazioni tipiche di un sistema democratico.

È appena di qualche settimana la celebrazione degli oltre cento anni dall'appello “ A tutti gli uomini liberi e forti “ che don Luigi Sturzo lanciò il 18 gennaio del 1919, in concomitanza con la fondazione del partito popolare.

Quell’Appello resta una pietra miliare ed è un manifesto di grande spessore morale e politico.

Li si incorpora tutto il pregevole lavoro, unanimemente riconosciuto dagli studiosi, con cui Sturzo seppe trasporre  in chiave politica i tratti etici e sociali della dottrina sociale della Chiesa.

Nella ricerca di un solido antidoto contro lo statalismo, che comprime le libertà, contro la partitocrazia che deforma i valori dell’uguaglianza, e contro l’abuso del denaro pubblico, che altera la giustizia: “le tre nemiche della Democrazia”, Sturzo antepone una corposa visione interclassista.

E non è raro rinvenire in taluni passaggi della sua ricerca, tesa a rielaborare organicamente, alla luce della propria teoria politica, principi e visioni delle più importanti matrici culturali: dal conservatorismo al liberalismo, partendo da A. Smith, al socialismo, assonanze con le categorie del liberalismo schematizzate da Benedetto Croce.

Un analisi pregevole che lo porta ad individuare, per ciascuna di esse, gli effetti perniciosi o le possibili aberrazioni nella loro prassi applicativa: dalle incontrollate forme di accentramento dei poteri, alle profonde disuguaglianze sociali, alle temibili compromissioni dei supremi valori della vita, della famiglia e della cooperazione pacifica tra le comunità e tra i popoli.

In questa mirabile sintesi la sua teoria del popolarismo ne risolve le contraddizioni intrinseche in una coerente compatibilità con i principi dello Stato democratico.

Non di poco conto fu, anche, il carattere profetico della sua visione con riferimento al futuro assetto costituzionale, all’importanza della partecipazione di ogni cittadino, alla vita istituzionale e alla costruzione di una comunità europea.

Ma quello che ancora più stupisce è l’estrema attualità del suo pensiero nel quale, anticipandone gli scenari si colgono adeguate risposte a tutte quelle carenze e inadeguatezze che oggi siamo chiamati a fronteggiare, mentre ci si avvita verso una crisi dei partiti, quasi irrisolvibile, con grande insidia per la democrazia rappresentativa.

Un pensiero, quello di Sturzo, talmente pregno di rigore morale (ne fa conto il suo concetto di spirito di servizio nell’esercizio di una funzione pubblica)e di organica e lungimirante coerenza strutturale e concettuale, che non sono pochi a vederne un profilo che, oltrepassando le anguste espressione della cultura politica cattolica, soprattutto del suo tempo, si proietta autorevolmente tra gli esponenti più fervidi della nostra cultura politica nazionale.

È noto peraltro quanto ad Egli fosse ostile la commistione tra la sfera religiosa e la sfera politica(molto  esplicativo il confronto epistolare con Romolo Murri).

Un focus particolarmente interessante fu il compiuto tentativo di coniugare, dentro la cornice della democrazia e della dottrina sociale della Chiesa,la connessione circolare: Individuo, Società e Stato nel rapporto tra l’esercizio legittimo delle libertà e della sovranità.

Nel sottoporre a rigorosa riflessione tutto il pensiero e le teorie politiche del contrattualismo, che da Hobbes, Locke, Montesquieu, Rousseau, fino a Rosmini ed oltre, sviscerò con limpida visione ogni improprio significato del termine popolo - del cui frequente equivoco concettuale si sono alimentate e si continuano ad alimentare tutte quelle interpretazioni che sulla scia di insidiosi fraintendimenti finiscono per portare facilmente verso scenari populisti - disvelandone tutte le false applicazioni, non in linea con i principi basilari di Democrazia.

Magistrale, in particolare, la sua analisi politica del contrattualismo liberale di Locke, ove ne risolve il problema della marcata asimmetria nel dualismo: Società - Stato, ricorrendo ad una più ampia ed articolata accezione del concetto di sovranità, che non può identificarsi nel solo esercizio da parte del popolo come corpo indistinto e monolitico; oltre a esso c’è la naturale e necessaria articolazione negli atti degli individui, delle comunità, delle istituzioni in un quadro di compatibilità con tutto quel crogiolo di interessi che ne esprimono il bene comune che deve sempre orientare il cammino di un popolo e dell’umanità.

Lo stesso Sturzo, in occasione della pubblicazione,nel 1923, del libro intitolato “Riforma statale ed indirizzi politici”,avverte che “..il suo popolarismo è divenuto una vera e propria dottrina della quale il partito non è altro che una concretizzazione organizzativa”, precisando vieppiu’ che esso “è esattamente una teoria dello Stato democratico”, nella cui costruzione hanno preminente rilevanza i principi di libertà e giustizia.

 Nella consapevolezza di uno strumento ancora vitale ed attuale per il governo del paese, la tutela dei valori di libertà, la giustizia sociale, la solidarietà e la cooperazione pacifica, appare cruciale, per le coscienze di tanti cattolici, che si avvii nel paese un processo di ricomposizione culturale e politica nel nome del popolarismo per una più aderente applicazione dei valori di convivenza civile, di sviluppo e di progresso, senza lasciare ai margini nessuna persona, in conformità ad una piena attuazione dei principi scolpiti nella Carta Costituzionale, germogliata sull’epilogo di una guerra mondiale, foriera delle più abissali e disumane brutalità e di una sanguinosa lotta fratricida.

Un dovere peraltro che ancor più trova la sua giustificazione nella necessità di contribuire a comporre un quadro geopolitico inquietante scatenato da una ingiustificata aggressione alla sovranità dell'Ucraina, dagli esiti e dalle evoluzioni, oggi imprevedibili.

Ed è davvero frustrante, nonostante gli accorati appelli di Papa Francesco alla cessazione congiunta delle ostilità e a un tavolo di pace, pensare di continuare a risolvere questioni di confini o vecchie rivendicazioni facendo ricorso alle armi, se davvero tutti abbiamo a cuore le sorti del genere umano.

Mentre anche le Istituzioni sovranazionali segnano il passo o non trovano autorevolezza e ascolto, perché troppo appiattite su posizioni di parte.

Sono sicuro che il forte fermento che sta animando l’area dei cattolici saprà essere la giusta linfa e la “ragion pratica” (qui nel senso kantiano di quella parte del pensiero sturziano, indirizzato all’azione ed al comportamento), per rimettere in cammino tutte le potenzialità e la fecondità del popolarismo, dottrina, capace, ancora oggi, di dare le giuste risposte alle tante distorsioni dell'attuale sistema politico.

 

Luigi Rapisarda