Dopo la stagione della diaspora politica dei cristiani italiani, che dal loro convergere per la gran parte nella Democrazia Cristiana si sono dispersi nell’intero arco dei partiti di diversa ispirazione, fattore detonante la messa sotto accusa delle pratiche illegali di finanziamento del partito, si sta assistendo a movimenti che vorrebbero ricomporre la presenza politica non solo convergendo su principi e valori, ma anche nella forma organizzata di partito politico. L’esperienza degli anni della diaspora ha dimostrato l’inefficacia della teoria del “lievito” nella massa che anche autorità ecclesiali avevano sostenuto.
I cristiani che sentivano la loro responsabilità di orientare secondo l’antropologia cristiana (pensiero sociale cristiano) le decisioni circa il bene comune di pertinenza della politica sempre in numero maggiore si stanno rendendo conto che le dinamiche culturali della modernizzazione, traducibile con linguaggio sociologico in individualismo, edonismo e secolarizzazione, hanno ormai tale sopravvento anche nella società italiana che il lievito risulta incapace di far lievitare, che il sale, diluito, non dà sapore, che la lanterna posta sotto il moggio si spegne.
Dopo l’operazione “Ulivo” voluta dalla sinistra DC (Presidente dei deputati della legislatura 1994-96 Beniamino Andreatta e poi candidato leader Romano Prodi le figure decisive) e la sua radicalizzazione con la fusione dei Popolari della Margherita con gli eredi del PCI, formando il Partito Democratico, alcuni ex DC si stanno convincendo delle ragioni che fecero decidere a esponenti molto autorevoli del PPI, come Gerardo Bianco e Alberto Monticone, già Presidente dell’Azione Cattolica, di non seguire la sinistra DC nel PD.
Meno sviluppato è il processo di presa di coscienza del fallimento della teoria del “lievito” degli ex-DC che hanno scelto, nella diaspora, formazioni politiche di centro-destra. Il passo equivalente di quello di adesione dei popolari al PD, per questi, è stata la creazione del partito “Popolo della Libertà”.
Ricordo un fatto particolare, l’adesione del Centro Popolare (partito trentino continuazione giuridica della DC trentina) a questo partito , via la sua federazione con la Democrazia Cristiana per le Autonomie, partito fondato da Gianfranco Rotondi: finì subito dopo il Congresso fondativo di Roma non appena si potè constatare che lo Statuto mancava dei due requisiti posti per l’adesione, la democraticità delle forme organizzative e l’esplicita ispirazione cristiana, che per un cristiano-democratico sono essenziali.
Dal Popolo della Libertà se ne andarono poi non solo i fedeli di AN di Fini, ma anche i democratici cristiani che avevano seguito Pierferdinando Casini. Tuttavia nella ricostituita Forza Italia e nel partito della destra divenuto Fratelli d’Italia non è maturata nei cattolici che vi aderivano la coscienza della sterilità del loro lievito, fino al punto di vedere in FI e da pco anche in FdI i contenitori più opportuni e adatti di una presenza cristianamente ispirata.
La Democrazia Cristiana è stata riattivata in un contesto nel quale una parte degli ex DC ulivisti si convincono del fallimento del progetto di animazione dall’interno dei partiti della sinistra laica e socialista (post-comunista) e una parte di coloro che avevano voluto mantenere una presenza di esplicita ispirazione cristiana rimangono divisi tra le vecchie formazioni (CDU,UDC) e la nuova realtà della DC. I primi in particolare sono orientati a promuovere nuove aggregazioni politiche, ritenendo necessario un nuovo partito, giudicando non più proponibile la Democrazia Cristiana.
Come deve orientarsi la riattivata Democrazia Cristiana? Sciogliersi per un nuovo partito o dimostrare la sua utilità nel porre parziale rimedio alla diaspora politica dei cristiani? Il prossimo Congresso è chiamato ad approfondire la questione. Quali gli svantaggi e i vantaggi nel puntare sulla convergenza di tanti nella DC rispetto invece a configurarsi come una delle componenti di un nuovo partito?
Costruire raccordi con i vari movimenti di matrice cristiana è stato da tempo un obiettivo coltivato, dapprima con iniziative di largo respiro coinvolgendo associazioni cattoliche di rilievo (convegni di Camaldoli), poi con convegni a Rovereto, organizzato dall’on. Tarolli e a Orvieto. Gli stessi anni di Presidenza della DC (prima l’Assemblea dei soci e poi il Consiglio Nazionale) dell’on. Gianni Fontana sono stati densi di attività volte allo scopo.
La stessa Federazione Popolare dei Democratici Cristiani era orientata a creare tali raccordi e a trasformare la federazione in un nuovo soggetto politico unitario. Si sono spese tante parole, ma il passaggio dalle parole ai fatti non è avvenuto.
E’ responsabile, data questa situazione, puntare su un nuovo partito anziché, come diceva l’on. Alberto Alessi, purtroppo scomparso, sul fare della DC un partito nuovo, capace di rappresentare quegli italiani che pensano utile che l’offerta politica in Italia possa disporre di un partito ispirato esplicitamente alla dottrina sociale cristiana nella sua integralità?
Non mancano partiti che si ispirano ad alcuni contenuti di essa ed altri partiti ad altri contenuti, ma il bene comune richiede attenzione a tutti i contenuti, quelli cui è più sensibile la sinistra, quelli cui è più sensibile la destra e quelli cui è più sensibile il centro laico-liberale. Ed è per questo che già nel Congresso della DC del 2018 fu scelta la collocazione di centro.
E’ nostra responsabilità rimuovere gli ostacoli che possano fare della DC la casa di tutti coloro che condividono tale ispirazione, come già lo è stata negli anni di Sturzo, di Degasperi, di Moro, di Fanfani, come anche quelli di Piccoli, di Forlani, di Rumor, di Donat Cattin, di Zaccagnini, di Martinazzoli e di molti altri.
sen. Renzo Gubert
Presidente del Consiglio Nazionale DC