IL POPOLO

Esteri

Dopo 20 anni di guerra costati 6400miliardi di dollari (5,4 mila miliardi di euro), gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Afghanistan. Il costo umano di questa crociata contro il terrorismo è stato tremendamente alto anche in termini di vite umane, con circa 170.000 morti tra civili afghani, soldati e membri delle forze dell’ordine del paese, militari statunitensi e “contractor”, soldati professionisti di compagnie private, oltre a 53 militari italiani. Le vittime tra le forze talebane e le forze di opposizione alla presenza occidentale sono state 51.191. Nel tragico computo vanno infine inseriti 444 operatori umanitari e 72 giornalisti. Questo paese inconquistabile, ora in mano ai Taliban, è divenuto obiettivo di mire espansionistiche da parte della Cina.
L’Albania è un paese ancora in transizione, sulla via dello sviluppo, che sta lottando per rientrare nei parametri necessari all’ingresso nell’Ue. Nel 2021 ci sono state le elezioni parlamentari, la maggioranza è stata raggiunta dal Partito Socialista d’Albania (74 seggi) con a capo il Leader d’opposizione Edi Rama, già al terzo mandato dopo 8 anni, storico oppositore di Berisha, con cui i contrasti raggiunsero il culmine nel 2011, quando i seguaci di Rama guidarono la folla per incitare il governo alle dimissioni ed il governo rispose con la repressione ed il sangue.
Di colpo abbiamo scoperto l’entità del disastro afghano. In vent’anni tutto l’Occidente, al seguito del padrone americano, non si è reso conto che i Talebani non solo non erano stati sconfitti ma, addirittura, stavano vincendo. Quando finalmente si è accesa la luce, l’allora Presidente Trump ha deciso il ritiro delle truppe, infischiandosene degli alleati, ed ha avviato dei negoziati con i vincitori, a Doha, nel Qatar, per salvare la faccia. In cambio della pace (o, meglio, di un esodo americano tranquillo) ha offerto soldi, armi e potere. Un vero affare.
I Talebani hanno occupato Kabul. L’ennesima guerra per l’Afghanistan è finita dopo vent’anni. Ancora una volta, nella difficile e sanguinosa storia di questo popolo, gli invasori stranieri sono stati scacciati. Ora, comincia una nuova era, quella della caccia all’uomo, dei massacri, delle lapidazioni, del burqa, della repressione di ogni libertà personale. È la civiltà dei tagliagola che torna trionfante. Ma non sono fatti nostri. Sono fatti nostri, invece, le drammatiche conseguenze che ne verranno fuori per il mondo dei miscredenti.
Si è, da poco, concluso il viaggio del presidente Biden in Europa in un clima del tutto diverso da quello instaurato dal predecessore. Washington è ritornata a considerare l’importanza capitale del territorio europeo per la propria stessa leadership mondiale. Non può esistere egemonia (anche economica e finanziaria, dollaro incluso) degli Usa su scala globale con stati europei divisi e protesi fuori dalla propria area di influenza, magari spostati troppo su Mosca o Pechino. Gli Stati Uniti, dunque, ricompattano la UE in modalità tradizionale, laddove la precedente amministrazione aveva, invece, aperto crepe all’interno di essa e nella Nato.
Il 1° Giugno di quest’anno è ricorso il centenario di uno tra gli eventi più tragici nella storia degli Stati Uniti: il massacro del 1921 nel quartiere nero di Greenwood a Tulsa, in Oklahoma. Il presidente Joe Biden ha deciso di commemorare la tragedia recandosi in visita nella città, cogliendo l’occasione per ribadire, nel suo discorso, il razzismo endemico che ancora oggi affligge la società statunitense e la necessità di un’azione concreta di integrazione. Il 31 maggio 1921, una folla di bianchi razzisti rase al suolo l’intero quartiere, causando 300 morti, incendiando oltre 1.470 case, radendo al suolo 35 isolati, incarcerando oltre 6.000 innocenti afroamericani e provocando oltre 10.000 sfollati.
Il Kenya, un paese con oltre 46 050 302 milioni di persone, ricco di risorse territoriali, idriche e climatiche, risulta particolarmente attrattivo in un settore sopra gli altri: quello floro-vivaistico. In Kenya il settore garantisce la sopravvivenza di oltre 2 milioni di persone, ed è il paese che richiama la maggior parte degli investimenti stranieri, per oltre 500 milioni di dollari annui. Essendo uno dei maggiori produttori di fiori (per il mercato europeo), ed in particolare di rose (a livello mondiale), non sorprende che tale produzione sia finita nelle mani di grandi multinazionali che hanno sfruttato tutte le risorse possibili, ed il cui prezzo è stato pagato da migliaia di minori e donne ...
A Ginevra c’è un incontro importante tra Putin e Biden: due Grandi che si scambieranno frasi di circostanza per i media e che dovrebbero misurarsi sul terreno del conflitto o della composizione degli interessi. Il grande assente è la Cina, un problema per tutti e due. Altri grandi assenti sono l’Iran, la Corea del Nord e l’India. Poi, c’è la Corea del Nord: un imbarazzo per tutti.
Ci sono tutti, i feudatari dell’Impero, i grandi, i medi, i piccoli. Tutti a festeggiare il nuovo corso dell’Impero americano: Trump è morto, viva Biden. Ora si riparte alla grande. Pensate, gli Stati Uniti, questo grande e potente Paese, ha bisogno di noi! Ci convoca, ci consulta, ci chiede di aiutarlo a mantenere il suo impero.
Qualche mese fa, per ragioni di studio, ho svolto varie ricerche sulla situazione in cui riversa il Venezuela. Il paese, che fino agli anni 70’ era una tra le più floride nazioni dell’America Latina, fonte inesauribile di giacimenti petroliferi e paese di esodo per gente in cerca di fortuna da tutto il mondo, si trova oggi sull’orlo del baratro. Per capire le ragioni profonde che hanno costretto oltre 5,4 milioni di persone a fuggire dal paese dal 2013 ad oggi, sono necessarie alcune precisazioni sociali, politiche ed economiche.