Giovanni Leone, morto a novantatré́ anni, visse l’intero secolo scorso e può̀ essere considerato non solo un uomo molto popolare tra la gente sia della sua Napoli sia di tutta Italia, ma anche un esperto di Diritto penale al livello di Alfredo Rocco. Infatti, insegnò Procedura penale alla facoltà̀ di Giurisprudenza di Roma fino a che la politica lo assorbì completamente.

Pure essendo molto basso di statura, la sua scienza e il suo acuto e brillante spirito ironico attirarono su di lui l’attenzione di alcune sue discepole, tra le quali la futura Donna Vittoria Leone, alta e molto bella, che diventerà̀ sua moglie dandogli quattro figli. Leone contribuì̀ fin dall’inizio alla stesura della Costituzione e divenne più̀ volte presidente della Camera dei deputati. Ricoprendo questo ruolo lasciò tracce diventate aneddoti ricchi di umorismo non solo partenopeo.

Leone volle inserire nella Costituzione e poi nelle leggi ordinarie norme favorevoli agli imputati, andando contro lo spirito punitivo di Rocco. Per quanto riguarda gli aneddoti c’è solo l’imbarazzo della scelta. Era molto superstizioso e come tale riteneva in particolare che il solo nominare alcuni parlamentari potesse portargli sfortuna. Quando arrivava il nome di un certo parlamentare lo saltava e nominava per due volte quello successivo nell’elenco. Alle proteste di quest’ultimo rispondeva: «Stia zitto, che ha capito benissimo!»

Non mancava mai, quando comunque era costretto a fare certi nomi, di toccare chiavi e altri oggetti di ferro a sua disposizione. La sua moderazione e vastissima cultura nonché́ la sua naturale simpatia lo resero più̀ volte il candidato ideale per guidare governi di transizione, per lo più̀ estivi. In un mio articolo dell’epoca segnalai questa sua caratteristica scrivendo: «Quando arriva l’estate l’onorevole Leone si mette in costume da bagno e va a presiedere il governo». Alla fine, fu premiato per questa umiltà̀, riuscendo a essere eletto dopo Saragat presidente della Repubblica.

Si considerava un notabile al di sopra delle correnti interne della DC. Il suo punto debole era, per così dire, la famiglia: in particolare, avrebbe voluto che i figli maschi facessero carriera. Uno di loro era portato per la giurisprudenza e si fece strada nell’ambito universitario e bancario, dove però, in quanto figlio del presidente, fu più̀ volte ferocemente attaccato. L’altro fece invece carriera alla RAI, dove tuttora è un dirigente di alto livello. Anche lui, come il fratello, fu oggetto di feroci attacchi da parte delle sinistre, suggeriti a volte anche da un po’ di invidia, perché́ entrambi i fratelli amavano mostrarsi in pubblico in compagnia di attrici belle e disponibili.

Si racconta che una volta l’onorevole Moro, allora presidente del Consiglio, entrato nell’ufficio del presidente Leone lo trovò in conversazione con uno dei figli. Visto che costui non accennava ad andarsene, Moro rimase in un incupito silenzio finché Leone, accortosi del suo imbarazzo, dopo una debole protesta, con un cenno invitò il figlio a lasciarli soli. La sinistra, volendo liberarsi di questo presidente, a suo giudizio troppo democristiano, lo attaccò ferocemente attribuendogli una quantità̀ impressionante di azioni negative da lui compiute o subite. A capo di questa crociata contro di lui si mise la giornalista dell’Espresso Camilla Cederna.

Si facevano allusioni per niente velate ad avventure della signora Vittoria, che si sarebbe stancata dell’anziano marito; si parlava di evasioni fiscali compiute nel passato e di aiuti dati in maniera sfacciata ai fratelli Lefebvre. Uno dei due era professore di Diritto della navigazione e l’altro, uomo di salotto, amico di importanti armatori i quali, secondo le voci circolanti, avrebbero goduto da parte di Leone di lauti favori economici.

Qualcuno sollevò persino il sospetto che Leone fosse il vero destinatario delle tangenti versate dalla Lockheed, azienda americana che fabbricava aerei. Ciò̀ fu dovuto al fatto che, nel diario del rappresentante della Lockheed in Italia, finito nelle mani della finanza, tra i nomi di copertura dati ai beneficiari delle suddette tangenti, appariva quello di «Antelope Cobbler», cioè̀ cacciatore di antilope.

È a tutti noto che è proprio il leone il più̀ esperto cacciatore di tali animali. Ne nacque così un processo, per la prima volta nella storia repubblicana italiana davanti alla Corte costituzionale, presieduta dal giurista genovese professor Paolo Rossi, dove gli imputati erano, oltre al presidente Leone, gli ex ministri Gui e Tanassi. Leone e Gui furono assolti per non aver commesso il fatto, mentre Tanassi fu condannato a una pena carceraria che dovette in parte scontare e che segnò la fine della sua vita politica. Tanassi era stato ministro della Difesa durante queste vicende e anche segretario del PSDI.

Questa campagna selvaggia e mortificante si svolgeva nel pieno della guerra civile provocata in Italia dalle Brigate Rosse, durante la quale, com’è noto, fu sequestrato l’onorevole Moro e uccisa la sua scorta. Durante la tragica trattativa per salvare la vita di Moro, sembra che si sia formato un triumvirato della clemenza composto da Craxi, Fanfani e Leone. Quest’ultimo era disposto ad accordare la grazia a qualche brigatista non colpevole di reati di sangue per facilitare la liberazione di Moro.

Superata tragicamente, com’è noto, questa vicenda, di fronte a nuovi attacchi Leone decise di dimettersi pochi mesi prima della scadenza del suo mandato settennale e di dedicarsi al suo ruolo di senatore a vita. Negli anni successivi la sinistra, soprattutto per l’onestà intellettuale di Camilla Cederna, ebbe il coraggio di autodenunciarsi affermando che, in realtà̀, di tutte le malignità̀ dette contro il presidente Leone non c’era la benché́ minima prova, se non le chiacchere dei salotti.

Leone, che morì in tardissima età̀, ebbe dunque la soddisfazione di vedersi riconosciuti i non pochi meriti e disconosciute le tante calunnie rivoltegli. Nella mente dei politici che lo conobbero a quei tempi rimangono però di lui l’arguzia e la brillantezza delle sue battute fulminanti di presidente della Camera. Ne cito soltanto due brevissime. Per sua disgrazia, il nome dell’onorevole Buttè, deputato aclista di Milano, era preceduto nell’elenco dei parlamentari dal nome dell’onorevole Buffone, socialista. Non era raro sentire Leone, in occasione dell’appello, pronunciare i nomi dei due parlamentari senza porre nessuna pausa tra l’uno e l’altro, per cui i presenti sentivano: «Buffone-Buttè». Naturalmente l’interessato non mancava di protestare.

In altre occasioni, nell’intento di dare un aiuto alla maggioranza che in quel momento mancava di qualche voto, se all’appello risultava assente un deputato il cui voto era determinante per la maggioranza diceva: «Sappiamo che l’onorevole è presente in Montecitorio, diciamo quindi che l’assente è presente e vota a favore».

 

Ezio Cartotto *

*Pagine tratte dal libro di Ezio Cartotto: Gli uomini che fecero la Repubblica - L’esempio dei maestri di ieri per ritrovare il senso della politica nell’Italia di oggi - 2012 Sperling & Kupfer. Su gentile autorizzazione di Elena Cartotto che ringraziamo.