Il Governo sta attraversando un momento di oggettiva difficoltà. Certi nodi irrisolti arrivano al pettine e l’opposizione, ovviamente, per quanto inefficace, ne approfitta. Ha il gioco facile e fa il suo mestiere, giustamente.

Chi, invece, non fa bene il suo, è il governo.

Tra promesse elettorali non mantenute e successi in politica estera, restano due vuoti: la situazione economica interna, che non è delle più brillanti, e la qualità dei collaboratori della Meloni.

Paradossalmente, la situazione economica è la meno grave, perché dipende da molti fattori esterni e da ultimo dalle tariffe doganali che sua maestà Trump vorrebbe applicare all’Europa. Altra considerazione è che le risorse sono scarse, la coperta è troppo corta e chi ne soffre sono le estremità, e cioè i disagiati che sono troppi.

Con buona pace dell’opposizione, che si troverebbe a fare le stesse cose se fosse al governo, la socialità incontra un limite oggettivo, se ci sono o non ci sono i quattrini. Non ci sono e le cose vanno come vanno, alquanto male. Con l’energia più cara d’Europa abbiamo i salari più bassi d’Europa e la produttività è anche la più bassa. Non c’è un collegamento fra i due fenomeni, ma ambedue incombono sul sistema delle imprese. Inutile: si raccoglie quello che s’è seminato nel tempo.

Più grave mi sembra, al momento, il tema della qualità del Governo, messo alla prova dopo più di due anni di gestione della cosa pubblica. Qualità bassa, mediocre e squilibrata rispetto all’avventurismo onorevole e fortunato della Meloni sul piano delle relazioni internazionali.

Il caso della Santanché è evidente. Poiché, prima di tutto, c’interessa il Paese (o, come dice la Meloni) la Nazione, le avventure fiscali e giudiziarie della Santanché, se non fosse un Ministro, non interesserebbero nessuno. Purtroppo si tratta di un Ministro di un governo che della moralità ha fatto una bandiera. Anche se nessuno è colpevole fino al giudizio finale della Cassazione, è pur vero che tra pettegolezzi, insinuazioni, inchieste e lazzi, nessuno crede che l’uscita della Santanché dal Ministero sarebbe una jattura per la nostra economia turistica e non lo sarebbe neppure per il governo.

Che la Meloni tolleri una situazione di disagio morale e d’inopportunità politica, proprio lei che dice ai quattro venti di non essere ricattabile, è incomprensibile.

Comunque, la questione Santanché è minore rispetto all’altra dell’evidente conflittualità con la magistratura.

In via di principio, chi è contro la magistratura è sempre un po’ sospetto. Io non ho paura dei giudici ma dei loro ghiribizzi spesso imprevedibili. Il conflitto c’è, ed è molto serio. 

La questione della separazione delle carriere sembra disturbare molto i magistrati. Ma qui si tratta di una decisione di governo sancita dal Parlamento. Che in via di principio la magistratura si opponga ad ogni tentativo di riforma non è buona cosa. Fa pensare ad una casta chiusa nei suoi privilegi e questo non va bene.

Sulla storia dell’Albania e del rientro in patria di un terrorista libico, però, ci sono alcune cose da dire.

Personalmente non ho mai capito la necessità e l’importanza “strategica” di trasferire in Albania certi immigrati. Che siano sul suolo patrio o altrove, sotto responsabilità italiana, mi sembra indifferente. Questo trattamento speciale potevamo farlo a casa nostra senza spendere quello che sì è speso. Ma questo non è importante. È importante, invece il vaudeville marinaro per cui un giorno li portiamo in Albania e il giorno dopo, per decisione della Magistratura, li riportiamo in Italia. Queste mini crociere forzate sono ridicole e di ridicolo si ricopre il governo.

Altrettanto ridicola è la pretesa della Magistratura di voler decidere quali siano i Paesi sicuri e quelli insicuri. Tra l’altro, si aspetta una pronuncia della Corte europea. Il buon senso direbbe che sarebbe opportuno conoscerla prima e agire dopo di conseguenza.

Le sparate interne sono inutili e avvelenano l’aria. La vita degli emigranti e il loro destino, come l’onorabilità del governo italiano, sono troppo importanti per essere messi in burletta da un’opposizione giustamente rissosa e dai media internazionali.

Il caso libico, poi, è la palese dimostrazione della superficialità con la quale si è condotta tutta l’operazione.

Abbiamo avuto la fortuna di mettere le mani su un personaggio noto alla Corte penale internazionale per omicidi, stupri e torture e per questo da arrestare per essere giudicato. Questo signore ha girato per un’intera settimana in Europa senza essere molestato da nessuno. Arrivato in Italia, la polizia l’ha preso. Bravi!

Questo è il primo atto.

Passiamo al secondo. Chi è costui? Perbacco, è il capo, sembra, della polizia libica. Un personaggio importante, un boss della malavita locale ma anche della politica libica. Abbiamo dei doveri nei confronti di quella Corte penale internazionale cui abbiamo aderito (il Trattato è stato fatto a addirittura a Roma!). Non c’è ombra di dubbio.

Però, abbiamo anche dei rapporti importanti con la Libia. Vogliamo metterceli contro? Rischiare l’interruzione delle forniture di gas o la sospensione dell’estrazione petrolifera dell’ENI? Magari una serie di sbarchi d’immigrati, tanto per sfoltire i lager libici, oppure rischiare una sequela di attentati? Cosa è più importante?

Considerate le cose, meglio non far nulla e rinviare il soggetto in Libia. Tipica soluzione all’italiana.

Credo che tutti capiscano le ragioni di questo modo di fare. Anche l’opposizione. Basta dirglielo, non inventare sciocchezze dove, alla fine, governo e amministrazione sembrano composti da cretini che blaterano giustificazioni insensate.

A ciò si aggiunge il ridicolo delle denunce al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Interno, al Sottosegretario alla Presidenza e così via. Si ritorna alla Magistratura, tanto per restare sul solco della tradizione e si sfrena l’abilità italiota di giocare sulle parole. Avviso di garanzia o comunicazione? Atto dovuto o voluto?

Possibile che si debba vivere di queste sciocchezze?

 

Stelio W. Venceslai