Nel primo fascismo, o protofascismo come lo definisce Mimmo Franzinelli, ecco il protosquadrismo, responsabile degli scontri che perturbano Milano nel 1919. Intanto nel Polesine, che diventa un laboratorio del socialismo riformista e dello squadrismo agrario, spicca il ruolo di Giacomo Matteotti, che il fiduciario del Fascio di Rovigo dipinge come il gaudente o il milionario travestito e il settimanale cattolico di Adria definisce socialista impellicciato (epiteto che sorprende l’amico Cristian De Massari, tanto che non gli par vero). Per il “Popolo d’Italia” lui è il bolscevico milionario, per il “Corriere del Polesine” il deputato palanca. Ancora un anno dopo il delitto, i “fascisti estremisti” di Firenze (come ebbero a presentarsi) insisteranno nel definirlo quale “socialista milionario, neutralista e disfattista”, in contrapposizione alla figura di Amerigo Dumini, invece “mutilato, decorato al valore” e “squadrista di tutte le nostre travolgenti azioni”.
“Affogliamo tutti nella bestialità che straripa” scrive Matteotti sull’Avanti il 27 marzo 1921. E aggiunge: “Anneghiamo tutti nel sangue di una lunga funerea teoria di vittime”. Denuncia quindi il ruolo di quelle che efficacemente definisce “le organizzazioni della violenza”, vere e proprie squadre armate a servizio dello schiavismo agrario. Tra gli uccisi c’è Luigi Masin, cassiere della Camera del lavoro. “Questo – commenta uno dei suoi sicari – polenta non ne mangia più”.
Alla moglie Velia Matteotti scrive che intende far risuonare nell’aula parlamentare “il grido di dolore delle nostre provincie, che ebbe a Roma soltanto una lontana risonanza, come il lamento di qualcuno che muore”. Nel contempo Mussolini rivendica al fascismo la natura di un movimento ideale che non si esaurisce nella violenza, la quale sarebbe solo un incidente. “L’essenziale – precisa -, l’immanente, l’eterno nel fascismo è la Patria italiana: nei suoi diritti, nei suoi interessi, nel suo più grande futuro”. Intanto però - ammette -, “squadre e Fascismo sono la stessa cosa”. Rivendica inoltre “il coraggio di mandare in frantumi tutte le categorie politiche tradizionali”.
Il 17 marzo c’è un nuovo intervento di Matteotti alla Camera. Il deputato polesano, in carica dal novembre 1919 al giorno del suo assassinio (10 giugno 1924), parla di squadrismo e denuncia: “I carabinieri arrivano giusto dopo quel tanto tempo che è sufficiente perché il camion dei fascisti si allontani e tutto sia finito”. I casi di complicità non sono rari. Ad esempio “il brigadiere dei carabinieri di Pincara cantava, beveva, sparava insieme coi fascisti di cui era socio”. 27 luglio: “Gli atti di violenza cominciarono colle invasioni notturne, perché il costume del Polesine è questo: si entra nelle case di notte”. Conclude denunciando che “i mandanti dell’assassinio sono nel Polesine i fiduciari del Governo incaricati di reggere le nostre popolazioni”. Il Popolo d’Italia titolerà: “Le fantasie del milionario Matteotti”, il quale invece viene allontanato forzatamente dalla provincia di Rovigo, bandito dal Polesine. L’amico Padovani, già sindaco di Polesella, conferma la persistenza del bando a distanza di qualche tempo: “I fascisti sono inviperiti contro di te”.
Matteotti denuncia alla Camera anche “la forzata adesione alle formazioni dei pseudo-sindacati fascisti” e all’onorevole Piccinato che lo interrompe prega di non dargli del tu, perché – dice – “non potrei avere nulla in comune con lei”.
Ruggero Morghen