Giuseppe Romanato fu un esponente di spicco della prima generazione democratico cristiana. Nacque a Fratta Polesine, il paese di Giacomo Matteotti, dove i genitori, entrambi maestri elementari per quasi mezzo secolo, gli trasmisero un cattolicesimo intenso, ma senza bigottismi, e un radicale rifiuto del fascismo. Nel 1939 si laureò in lettere all’Università Cattolica di Milano, dove soggiornò per quattro anni nel pensionato Augustinianum. A Rovigo divenne professore di ruolo nelle scuole medie superiori. Negli anni universitari milanesi maturò un’incondizionata ammirazione per il rettore Agostino Gemelli, al quale, scrisse poi in un ricordo - che ebbe l’onore di essere citato dal futuro pontefice Giovanni Battista Montini - “devo alcune delle poche virtù che regolano la mia vita”.
Dopo la guerra fu tra i fondatori della Democrazia cristiana di Rovigo, della quale fu segretario provinciale dal 1946 al ’48 e poi dal 1952 al ’53, all’indomani della tragica alluvione del Po che travolse la sua provincia. In una terra povera e abbandonata, pose tutto il suo impegno per favorire la ricostruzione, combattere l’analfabetismo, trarre dall’isolamento il Delta padano, rimediare alla disoccupazione e alla piaga dell’emigrazione.
Candidato non eletto nel 1948, per la preponderanza delle sinistre nel Polesine, divenne deputato nel 1953. La sua elezione, unitamente a quella di Carlo Cibotto, segnò l’inizio della rinascita della DC rodigina e del regresso comunista. Al Parlamento si adoperò con discorsi, interventi specifici, azioni legislative a favore del riscatto del Polesine, allora incluso fra le “areee depresse del centro nord”. Fu uno dei maggiori sostenitori della necessità di porre fine alle estrazioni metanifere, che provocavano la subsidenza del suolo in un territorio già pericolosamente esposto alle piene dei fiumi.
Alla Camera fece sempre parte della Commissione Istruzione e Belle Arti, lavorando attivamente a favore della scuola e degli insegnanti e promuovendo numerosi interventi legislativi specifici. L’Ente nazionale per i sordomuti lo considerò un benemerito per la legge che promosse nel 1962. Si adoperò anche per la parificazione della scuola non statale, lavorando in piena sintonia con le organizzazioni cattoliche (Aimc, Uciim, Fidae).
Fu rieletto al Parlamento nelle elezioni del 1958, 1963 e 1968, ma dentro la Dc si trovò su posizioni sempre più isolate man mano che cresceva il fenomeno correntizio, che contrastava con la sua idea sturziana del partito: strumento di elaborazione di idee e valori, di canalizzazione del consenso, di selezione della classe dirigente; non di gestione autonoma del potere, concorrenziale o addirittura sovrapposto allo Stato. Aderì al raggruppamento di Centrismo popolare guidato da Scelba e Gonella, che si ispirava agli ideali originari del cattolicesimo politico, e fece parte anche del Consiglio nazionale e della direzione centrale della Dc. Ma allo scioglimento di Centrismo, non si trovò in nessuna delle correnti organizzate, salvo una vicinanza ideale con le posizioni di Aldo Moro. Anche nella Dc rodigina fu un deciso, talora aspro, oppositore del doroteismo ormai maggioritario.
Dopo le elezioni politiche del 1968 fu eletto alla presidenza della Commissione Istruzione e Belle Arti (allora l’ottava Commissione permanente della Camera), dove fu riconfermato fino al termine della legislatura. Di particolare rilievo la legge che sostenne quasi da solo (secondo firmatario l’on. Fracanzani) a favore dei Colli Euganei, allora minacciati da un’indiscriminata e selvaggia attività di estrazione di pietrame vario, utilizzato poi soprattutto per la costruzione della rete autostradale. Approvata proprio alla fine della legislatura (legge 1097/1971), viene oggi considerata la prima legge ecologica italiana, sanzionata anche da una sentenza della Corte costituzionale, che respinse le eccezioni di incostituzionalità avanzate da alcuni cavatori.
Ma nonostante la notorietà che derivò a Romanato dalla legge suddetta, il suo isolamento nel partito era sempre maggiore e alle elezioni politiche del 1972 (le prime elezioni anticipate rispetto alla naturale scadenza della legislatura) non fu rieletto, benché con forti e motivati sospetti di brogli e pasticci orditi a suo danno dai gruppi di potere legati alle attività estrattive, oltre che da avversari interni al suo partito.
Al di là dell’attività politica, Romanato fu molto attivo a Rovigo. Come presidente della secolare Accademia dei Concordi, dal 1959 fino alla morte, ne promosse un radicale restauro, tanto della biblioteca (alla cui inaugurazione, nel 1962, intervenne Antonio Segni, presidente della Repubblica) quanto della ricchissima pinacoteca (inaugurata da Sandro Pertini, presidente della Camera, nel 1971). L’Accademia divenne così il motore culturale dell’intero Polesine. Contemporaneamente andò a buon fine l’apertura del locale Archivio di Stato, nel 1967, per la cui istituzione si era molto adoperato.
Giuseppe Romanato morì improvvisamente, dopo una breve malattia, il 15 aprile 1985. Nel primo anniversario della morte lo ricordò a Rovigo Oscar Luigi Scalfaro, allora ministro degli Interni, che gli era stato profondamente amico sul piano sia personale che politico. Scalfaro ne dipinse perfettamente la figura affermando che “fu uomo di principi e non di potere. Se fosse stato di altra duttilità avrebbe fatto ben diversa strada”.
Gianpaolo Romanato