Mario Scelba nacque a Caltagirone, la città di Luigi Sturzo, il 5 settembre 1901. Morì a Roma il  29 ottobre 1991, Giovanissimo, dopo aver ottenuto la laurea in Giurisprudenza, divenne segretario particolare.

Sturzo non fu formalmente esiliato dal governo fascista, ma volontariamente, su consiglio del cardinal Gasparri, andò a fare il viceparroco in un sobborgo di Londra. A causa dei bombardamenti del 1940 Sturzo emigrò negli USA, dove poté curare i gravi disturbi respiratori di cui soffriva in un ospedale della Florida. Nel 1946 rientrò in Italia su una nave che lo portò a Napoli.

Scelba, informato del suo arrivo, emozionatissimo, avvertì De Gasperi, Spataro e Silvio Gava invitandoli ad andare ad accoglierlo. Con loro salì su una piccola imbarcazione e si avvicinò al transatlantico il cui comandante, avvertito dalle autorità̀ portuali, fece calare la scaletta su cui si arrampicarono ansiosi di riabbracciare il vecchio amico. Quando arrivarono sul ponte seppero che Sturzo non si trovava nella sua cabina, ma sul ponte della nave a prendere il sole della sua Italia, su una sedia a sdraio, dopo più̀ di vent’anni di esilio.

Immaginatevi lo stupore di Sturzo quando Scelba, non visto, gli posò le mani sugli occhi gridando «Sorpresa!» con accento siciliano. Fu un indescrivibile momento quello in cui cinque uomini si misero contemporaneamente a ridere e a piangere. Superato il primo attimo di grande emozione, vennero a parlare di cose più̀ serie e Sturzo raccomandò a tutti di seguire rigorosamente la guida di De Gasperi.  

Mario Scelba era un uomo forte, estremamente dinamico, che De Gasperi volle sempre al suo fianco, soprattutto per affrontare i problemi dell’ordine pubblico. Terminato il secondo conflitto mondiale si era evidenziato estremamente pericoloso, in Sicilia, il tentativo, già in atto da qualche tempo e capeggiato dal regionalista Finocchiaro Aprile, di rendere l’isola indipendente.

Va ricordato a tale proposito che il presidente degli USA Roosevelt, per favorire lo sbarco alleato in Sicilia, si era accordato con i capi della mafia americana Lucky Luciano e Vito Genovese. Costoro ebbero buon gioco a indurre la mafia isolana, già̀ inviperita contro il fascismo per la repressione del prefetto Mori, ad aiutare gli americani a sbarcare a Gela e lungo tutta la costa meridionale, facendoli poi risalire rapidamente fino a Messina.

Il colonnello Charles Poletti, italoamericano, affiancato da Vito Genovese in qualità̀ di interprete, approfittò della buona fede degli americani per razziare viveri e ogni cosa potesse servire alla popolazione, per far vedere che mentre lo Stato perseguitava la gente, la mafia sapeva aiutarla concretamente, trucco che durava dai tempi dei Vespri siciliani.

De Gasperi, che da buon trentino aveva saputo discutere alla pari con gli austriaci dei problemi del Trentino-Alto Adige, ritenne opportuno affidare al siciliano Scelba la complicata situazione dell’isola. Infatti, Scelba, prima si liberò del problema di Finocchiaro Aprile con l’aiuto degli americani, poi affrontò le bande di uomini armati capeggiati da Giuliano e Pisciotta, che volevano con l’uso della forza cacciare l’Italia dalla Sicilia.

Il loro intento era di fare dell’isola una regione autonoma anche dal punto di vista giudiziario e penale, dotata di un’Alta Corte di Giustizia indipendente dalla Cassazione e con un presidente regionale avente il diritto di partecipare a ogni Consiglio dei ministri italiano in cui si discutessero i problemi della Sicilia. Scelba ebbe quindi pieni poteri e tutti i mezzi necessari per portare l’isola nell’ambito dell’unità d’Italia.

Inoltre, in Sicilia erano in corso lotte sindacali e sociali legate al latifondo, che contrapponeva pochi ricchi proprietari terrieri a una massa di braccianti in gravi difficoltà economiche. Esisteva anche il problema dell’acqua. Non perché́ tale prezioso e indispensabile elemento scarseggiasse, ma perché́ c’era chi, nel proprio interesse, ne controllava la distribuzione.

In questo contesto accadde che, durante una manifestazione per la ridistribuzione delle terre, promossa dai sindacati e dai partiti di sinistra a Portella delle Ginestre, Giuliano aprisse il fuoco sulla folla facendo molte vittime. Subito la sinistra fece nascere la leggenda dell’«odioso e odiato» ministro degli Interni Scelba che, colluso con la mafia, avrebbe avuto la machiavellica pensata di spingere Giuliano, proprio attraverso la mafia, a sparare sulla gente comune. Il fine sarebbe stato quello di rendere l’immagine del bandito invisa alla folla, che ne avrebbe favorito la cattura.

Fra l’altro la mafia, che i testimoni li preferisce piuttosto morti che vivi, avrebbe pagato Pisciotta, braccio destro di Giuliano, per uccidere quest’ultimo. Pisciotta si dichiarò colpevole e qualche tempo dopo, mentre era in attesa di processo, morì in carcere avvelenato dal solito caffè. Addirittura, persone dotate di fantasia dicevano che forse l’uomo assassinato non fosse il vero Giuliano, ma un altro bandito creduto tale. Il vero Giuliano sarebbe stato fatto fuggire all’estero.

Per chiarire questi dubbi nel 2010 il procuratore Ingroia avrebbe ordinato di disseppellire Giuliano per verificarne il DNA. È molto difficile dimostrare una qualsiasi contiguità̀ di Scelba con la mafia, non solo perché́ Scelba era un cattolico praticante e un fedele discepolo di Sturzo, ma anche perché́ non cercò mai, nei congressi della DC, di crearsi una corrente siciliana propria (possibilmente gradita alla mafia), come fece invece Andreotti.

In ogni caso, fu a Scelba che vennero affidati i poteri sull’ordine pubblico di tutta Italia e, grazie alla capillare propaganda comunista, Scelba divenne il manganellatore, il macellaio, il torturatore. È pur vero che durante le manifestazioni e gli scioperi ci furono caroselli della polizia e più̀ di una persona fu investita e uccisa, ma Scelba non espresse mai compiacimento per queste disgrazie. Tuttavia, egli non si tirò mai indietro e, quando Pajetta e i comunisti più̀ focosi saltavano i banchi del Parlamento per aggredirlo mentre lui si trovava sui banchi del governo, non ebbe mai momenti di reazione se non per dire con parole ferme: «I poliziotti non sono colpevoli, l’unico colpevole sono io che ho dato gli ordini. Che vi piaccia o no, quando voi andate in giro a distruggere e a provocare caos troverete sulla vostra strada la mia polizia, di cui mi assumo ogni responsabilità̀».

Fu Scelba, imitato poi da Fanfani, a consigliare che i pompieri irrorassero con acqua colorata i manifestanti, allo scopo di sedare i bollori, ma soprattutto di poter individuare con una certa facilità i colpevoli di eventuali fatti criminosi. Scelba fu solidale con De Gasperi quando quest’ultimo rifiutò l’invito di Pio XII di fare una lista comune con le destre in occasione delle elezioni comunali di Roma e diede il suo nome alla legge elettorale che i comunisti chiamarono «Legge truffa».

Quando De Gasperi scomparve dalla scena politica gli succedette alla guida del governo l’economista Pella con Fanfani al Ministero degli Interni, il quale dovette affrontare questa volta i disordini di piazza al grido di «Trieste all’Italia». Mentre gli alleati si apprestavano ad abbandonare Trieste, si profilò il pericolo che i partigiani occupassero la città e Pella mobilitò un piccolo esercito italiano per difenderla. La vicenda si risolse salomonicamente: gli alleati garantirono alla Jugoslavia la provincia di Trieste, chiamata zona B, e all’Italia la città di Trieste, zona A.

Dopo questa controversia con gli alleati Pella si dimise lasciando la guida del governo a Scelba, affiancato dal sottosegretario Oscar Luigi Scalfaro, governo che durò quasi due anni. Scelba si disinteressò sempre della vita interna del partito, pur avendo molto consenso nel Paese, che lo apprezzava per la grinta e la chiarezza delle idee e, come già dissi, non intendeva organizzare una sua corrente.

Tuttavia, a causa del mutamento del sistema elettorale all’interno della Democrazia Cristiana, che da maggioritario divenne proporzionale, anche Scelba fu costretto a crearsi una corrente chiamata «centrismo popolare» che, però, si estinse in breve tempo e alla quale aderirono quasi tutti gli ex degasperiani come Spataro, Tupini, Gonella. Quest’ultimo inventò una felice metafora in cui diceva, a proposito dei socialisti: «Troppo spesso i lupi si travestono da pecore tra gli applausi dei pastori».

Dopo la scissione di Iniziativa Democratica e dopo la brutta esperienza del governo Tambroni, Fanfani, ritornato alla guida del governo, si diresse come un treno verso l’abbraccio con Nenni, anche se rallentato dai Moro-dorotei.

In sede congressuale a Napoli Scelba fece il miglior discorso di opposizione all’accordo con i socialisti. Con una chiarezza di ragionamento degna di Luigi Sturzo, egli affermò che una DC alleata con il PSI avrebbe provocato due disastri contemporaneamente. Anzitutto la DC avrebbe perso la sua credibilità̀ e un certo numero di elettori moderati, non più̀ trattenuti da una motivazione cattolica, avrebbe votato per il Partito liberale. Questa perdita di voti si sarebbe consolidata a favore dei liberali e il peso complessivo dei parlamentari DC sarebbe sempre più̀ diminuito.

Inoltre, il PSI, anche se si fosse alleato con i saragattiani, avrebbe perso voti a sinistra a favore dei secessionisti del PSIUP e degli stessi comunisti. Fatti i conti, la maggioranza di governo avrebbe avuto ben pochi voti in più̀ dell’opposizione. A questo punto, dato il nostro sistema parlamentare, con una maggioranza così fragile si sarebbe dovuto trattare ogni cosa con i comunisti che, senza assumersi responsabilità̀ di governo, avrebbero di fatto partecipato alla guida del Paese. Così avevano insegnato Gramsci e Togliatti e questo si stava verificando. 

Scelba ebbe un vasto consenso, pari al 20% del partito, ma non aveva nessuna intenzione di organizzare questo consenso, come si è visto, in una corrente. Perciò̀, i suoi ragionamenti così lineari finirono a poco a poco per essere demoliti o dimenticati e Scelba venne di fatto emarginato dalla guida politica del partito e dal governo. Si dedicò quindi sempre di più̀ alla politica europea, dove riceveva maggiori soddisfazioni.

In sede europea una volta si verificò un simpatico scambio di battute tra lui e La Pira durante un pranzo a Strasburgo, al quale io partecipavo con un gruppo di giovani. Ricordo che a un certo punto Scelba, rivolto a La Pira, disse: «Giorgio, spero di morire dopo di te perché́ quando tu sarai morto, tutti vorranno farti subito santo e allora io interverrò̀ e scriverò̀ alla Congregazione per le Cause dei Santi che La Pira non può̀ essere santificato perché́ nel corso della sua vita, almeno una volta, è stato un imbroglione e un truffatore, cosa che io posso dimostrare».

La Pira, colpito in modo così inaspettato, abbandonò le posate e si mise ad agitare le mani dicendo: «Ma Mario, cosa mai stai dicendo davanti a questi giovani. Io non pretendo di diventare santo ma non posso permettere che tu mi definisca imbroglione e truffatore. Quando questo sarebbe accaduto?» Scelba rispose subito: «Ti ricordi quando tu eri sottosegretario al Lavoro e ti occupasti della controversia tra armatori e sindacati?» «Certo che me ne ricordo. C’erano le navi cariche di carbone e di grano ferme nei porti e, se non si fosse provveduto a scaricarle subito, il Paese avrebbe sofferto il freddo e la fame. Gli armatori, nella persona del comandante Lauro, loro presidente, ci fecero sapere che gli aumenti chiesti dai sindacati non si potevano concedere a meno che il governo non fosse intervenuto con finanziamenti a fondo perduto a favore della loro categoria. Allora io chiamai il comandante Lauro e gli dissi che il governo avrebbe acconsentito alla richiesta. In questo modo le navi scaricarono il grano e il carbone e il pericolo fu superato», concluse con aria ispirata La Pira.

Scelba però implacabile riprese: «Vedi, non solo sei un peccatore, ma perseveri nel peccato perché́ sai benissimo che io ero presente al Consiglio dei ministri che decise di non concedere prestiti agli armatori e Fanfani assicurò che te l’avrebbe comunicato». Allora La Pira concluse dicendo: «Beh, forse avrò̀ capito male, ma a fin di bene, anche perché́ gli armatori i soldi li hanno poi avuti». «Certo», concluse Scelba. «Come facevo a quel punto a non concedere il finanziamento che tu ti eri impegnato a far pervenire a nome del governo. Si rischiava una rivolta e io ti diedi una mano sostenendo che per motivi di ordine pubblico bisognava chiudere la vertenza. Ma tu resti sempre quello che ti ho definito prima.» Ci fu una risata generale che coinvolse Scelba, La Pira e tutti coloro che erano presenti.

È interessante sapere che Scelba, mentre era ancora vivo, cosa molto insolita, poté́ vedere innalzato in suo onore un monumento nella cittadina di Caltagirone, dove era nato. Ciò̀ gli portò fortuna: morì quasi centenario.

Ezio Cartotto *

* (Pagine tratte dal libro di Ezio Cartotto: Gli uomini che fecero la Repubblica - L’esempio dei maestri di ieri per ritrovare il senso della politica nell’Italia di oggi,- 2012 Sperling & Kupfer. Per gentile autorizzazione di Elena Cartotto)