Jasmin Diglio e Roberto Tassan, esperti di psicologia e psicoterapia, presentano lo scopo della loro ricerca sulla “nequitia” ossia sulla “cattiveria” o “malvagità umana”. Ciò precisato, essi si addentrano nella selva oscura costituta dal problema del “male”. Un problema attorno al quale da millenni si sono tormentate le menti di uomini esperti e non esperti nei campi più svariati del pensiero: dalla religione, alla filosofia, alla letteratura, alle scienze sperimentali.
Il discorso degli Autori prende il via dalla celebre tesi di Socrate: “La cattiveria non esiste, esiste solo l’ignoranza intorno al bene”. Il filosofo, come è noto, dava dimostrazione della tesi con questo ragionamento: “Ogni uomo cerca e vuole il massimo di bene per la propria vita. Se un uomo conosce in che cosa consiste il bene non può non agire in modo da ottenerlo. Quindi il vero problema è conoscere il bene. Chi conosce il bene non farà mai il male.”
Va precisato che il discorso in questione presuppone un concetto di bene che sia valido nello stesso tempo sia per una singola persona che per il gruppo sociale in cui essa si trova a vivere. Si osserva che la tesi in questione comporta un paradosso molto imbarazzante.
Da un lato essa appare inconfutabile. È impossibile infatti pensare che una persona sana di mente possa coscientemente fare del male a se stessa dopo aver conosciuto ciò che le può procurare il bene.
Dall’altro la tesi appare del tutto in contrasto con ciò che ognuno può constatare ogni giorno con i propri occhi. Vi sono moltissime persone che pur essendo in condizione di conoscere e quindi di compiere il bene proprio e altrui agiscono in modo da produrre il male (sia a se stesse che al loro prossimo).
Nel libro si riportano numerosi fatti che confermano il paradosso su descritto. E gli Autori cercano di metterne in luce cause.
A questo proposito Jasmin Diglio osserva che dalla stessa etimologia del vocabolo “cattivo” si possono trarre spunti per la spiegazione del paradosso.
Captivus nella lingua latina significa prigioniero. Così era appunto chiamato l’uomo catturato in guerra da un esercito vincitore. Nella tradizione culturale della religione cristiana l’uomo “cattivo”, come è noto, è il prigioniero di Satana. Il quale ha il potere di indurre gli uomini a commettere il male, e di trattenenerli poi come suoi prigionieri una volta che essi lo abbiano commesso.
Rielaborando la metafora della prigionia, l’autrice si riporta alla teoria dello psicoanalista W. Reich (1897-1957) secondo la quale gli esseri umani, da tempi immemorabili, si imprigionano volontariamente in una “gabbia” costruita dalle convenzioni imposte da una società repressiva. Coloro che rimangono prigionieri di questa gabbia non riescono neppure a vederne le sbarre. Per questo indirizzano le loro azioni verso obiettivi alienanti. Obiettivi che a loro sembrano “nobili”, come le espressioni artistiche, ma che in realtà impediscono lo sviluppo autentico e soddisfacente della personalità.
Secondo questa teoria il “cattivo” è nello stesso tempo prigioniero (vittima) del male sociale e anche autore, a sua volta, del male proprio e altrui. Anzi spesso arriva a quella perversione della psiche che consiste nel “godere” nel fare il male. In sintesi, sta male e prova piacere nel fare il male; e lo fa perché sta male.
Il libro ci porta così di fronte, tra molti altri, a due grandi problemi: quello della responsabilità personale di chi fa il male; quello del male causato dalla distorsione della personalità prodotta dall’ambiente sociale;
Accenneremo qui succintamente alle risposte dei nostri autori sui tali punti.
Roberto Tassan si pone di fronte all’antica e sempre nuova domanda. Esiste il libero arbitrio? In altre parole, fino a che punto sussiste per un essere umano la libertà di scegliere fra il bene e il male. A questo proposito ci riferisce il caso, accaduto a metà dell’800, di un giovane operaio delle ferrovie americane il cui comportamento e carattere da estremamente “buono” (efficiente, lodevole) si tramutò in “cattivo” (antisociale, riprovevole) subito dopo di un incidente sul lavoro: una barra di ferro gli si era conficcata tra un occhio e il cervello.
Jasmin Diglio ci porta poi diversi esempi nei quali una persona cambia totalmente il suo comportamento a seconda che agisca individualmente o in un determinato ruolo assegnatole dalla società. Riferisce degli incredibili risultati ottenuti dallo psicologo F. Zimbardo che dimostrano, sperimentalmente e senza possibilità di dubbi, che “tutti possiamo divenire torturatori”.
De nequitia ci fornisce molte informazioni scientifiche sui temi sopra indicati. Si conclude con un’appendice intitolata Adolf Hitler: Follia e male assoluto. Qui leggiamo anche alcune notizie non molto note, sulla biografia del personaggio storico forse più famoso tra coloro che hanno raggiunto i vertici della malvagità.
Leggendo queste notizie il lettore comprende che la maggior parte delle cause che inducono gli esseri umani a commettere il male sono davvero nascoste nel “sottosuolo” della psiche umana. Chi scrive, ad esempio, ha pensato che se il giovane Adolf Hitler avesse visto accolta la sua domanda di iscrizione all’ Accademia delle Belle Arti forse si sarebbe volentieri dedicato alla pittura per la quale non mancava di talento. E non sarebbe passato alla storia come genio del male. Un genio per altro capace di sedurre e trascinare nelle sue imprese malvagie la grande massa del popolo tedesco. Anche sulla capacità seduttiva dei cattivi il lettore potrà trovare nel libro interessanti notizie.
In breve diremo che De nequitia ci offre molti elementi per approfondire i complessi rapporti fra la parte “conscia” e la parte “inconscia” della psiche. La comprensione di questi rapporti, a sommesso avviso di chi scrive (che non è un esperto della materia) comporta una estensione della parte conscia, quella che ci consente di mantenere la mente sana e ci rende quindi capaci di agire per compiere, come dice Socrate, il bene e di evitare di diventare “prigionieri” della cattiveria.