Luigi Gui ha fatto parte di quella generazione di giovani cattolici che assunsero l’impegno della ricostruzione dell’Italia dopo la tragedia del fascismo e della guerra perduta.
Veniva da una famiglia modesta, con una borsa di studio poté studiare alla Università Cattolica, dove ebbe incontri decisivi per la sua futura vita politica, lì conobbe i “professorini” Fanfani, Dossetti, Lazzati, La Pira che rincontrò in Assemblea Costituente e tramite l’esperienza nella Fuci entrò in contatto con Aldo Moro che ne era diventato il presidente nazionale nel 1939.
Tenente degli Alpini in Russia al rientro in Italia prese i primi contatti con il mondo partigiano, scrisse nel 1944 un opuscolo intitolato “Uno qualunque, la politica del buon senso”. L’opuscolo di una ventina di pagine fu ciclostilato presso il collegio cattolico padovano Barbarigo, dove operavano due sacerdoti fortemente impegnati nella lotta antifascista, don Mario Apolloni e don Giovanni Nervo, e diffuso clandestinamente ebbe una notevole fortuna, come primo orientamento per la ricostruzione democratica del paese.
Come il coetaneo Mariano Rumor entrò in politica avendo già alle spalle una esperienza dirigenziale nel mondo associativo: Rumor Presidente provinciale delle Acli vicentine, Gui presidente provinciale della Coldiretti padovana. Nel 1946 viene eletto consigliere comunale a Padova e diventa capogruppo della Dc, guidando la formazione della nuova giunta post Cln con l’estromissione dei comunisti dal governo cittadino, poi l’elezione alla Assemblea Costituente e alla Camera nel 1948.
A Roma è tra i deputati dossettiani, Gui diviene segretario di Civitas Humana, che era il gruppo culturale fondato da Giuseppe Dossetti e poi redattore di Cronache sociali, la rivista del gruppo che tra il 1947 e il 1951 rappresentò le idee più avanzate nell’esperienza politica della Dc, con l’ambizione di costruire un progetto culturale per la società italiana, dotandosi di strumenti scientifici e culturali adeguati all’impresa.
Iniziano presto le responsabilità di governo, a partire da quello di sottosegretario all’Agricoltura nel 1951 (Ministro era Amintore Fanfani) con la delega di dare attuazione alla legge sulla riforma agraria, di cui era stato relatore alla Camera dei deputati. Aveva scelto del resto in quella prima legislatura di essere assegnato alla Commissione Agricoltura ed Alimentazione, di cui era stato eletto segretario, contando evidentemente sulla conoscenza del mondo agricolo che aveva acquisito con il lavoro svolto per la nascita della Coldiretti padovana.
Un primo impegno governativo di forte impatto sociale con l’esproprio di oltre 700.000 ettari di grandi proprietà terriere a favore di coltivatori diretti. A questo primo impegno sarebbero succeduti incarichi ministeriali di primo livello: Ministro del Lavoro (1957), Ministro della Pubblica istruzione (1962 – 1968), Ministro della Difesa (1968 – 1970), Ministro della Sanità (1973 – 1974), Ministro dell’Interno (1974 -1976), Ministro della Pubblica Amministrazione e delle Regioni (1974).
Un ruolo governativo sostenuto da una lunga una esperienza parlamentare, che si sarebbe succeduta per sette legislature alla Camera e per una ulteriore al Senato. E incarichi tutti conquistati con un rapporto costante con il collegio di elezione, come dimostra il consenso espresso con il voto di preferenza, con il picco di oltre 63.000 voti raggiunti nel 1963, secondo degli eletti democristiani nella circoscrizione Verona, Padova, Vicenza, Rovigo, dietro il capolista Mariano Rumor.
Della lunga esperienza governativa di Luigi Gui va ricordato soprattutto (così voleva lui) l’approvazione la legge per la scuola media unica nel 1962. Rimuovendo un inaccettabile strumento di diseguaglianza che discriminava i bambini fin dalle elementari, tra chi poteva accedere a livelli di studio superiori e chi doveva prendere la strada dell’avviamento professionale. Le statistiche di allora ci dicono che oltre l’80% dei ragazzi dopo i 10 anni abbandonava gli studi, avviandosi precocemente al lavoro o all’istruzione professionale di base: un grande progetto di alfabetizzazione del paese, senza preclusioni di classe.
La riforma della scuola media unica è stata una vera riforma. Che ha cambiato in meglio la vita degli italiani, ha dato attuazione ai principi costituzionali di eguaglianza, non a caso il primo articolo della legge di riforma fa riferimento all’articolo 34 della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”.
Come tutte le riforme vere Gui dovette vincere resistenze, conservatorismi, interessi corporativi, tra chi temeva che vi fosse un abbassamento della qualità dell’insegnamento, che vi fosse un sovraccarico per il corpo insegnante, che si sprecassero risorse per formare giovani che avrebbero dovuto comunque avviarsi ad assicurare la necessaria manodopera alle attività produttive.
Non riuscì invece a portare a termine il progetto di riforma universitaria, osteggiata dai conservatori perché troppo innovativa, dagli innovatori perché troppo timida. Sarebbe stata invece una riforma importante, che avrebbe con equilibrio avviato un processo essenziale di riforma per il quale si dovette poi aspettare moltissimi anni. Va invece ricordato che da Ministro della Sanità impostò i fondamenti di una riforma sanitaria che pio fu portata a termine da Tina Anselmi.
Gui fu capogruppo della Dc tra il 1958 ed il 1962, periodo delicatissimo tra le dimissioni di Fanfani dalla Segreteria nazionale della DC nel 1959, l'elezione di Aldo Moro, la preparazione della nuova fase dell’apertura a sinistra con l’entrata dei socialisti nel governo, fortemente osteggiata dagli ambienti conservatori e da una parte della gerarchia cattolica.
Gui si trovò ad essere un necessario punto di equilibrio tra l’esuberante iniziativa politica di Amintore Fanfani, allora insieme Presidente del Consiglio e Segretario Politico nazionale e quella parte del partito e dei gruppi che mal tolleravano questa concentrazione di potere e l’iniziativa riformatrice sia nel campo della politica interna che in quella estera.
Nacque uno stretto sodalizio con Aldo Moro che durò fino all’assassinio dello statista pugliese. Nel Veneto capeggiò la corrente morotea, fortemente maggioritaria a Padova e da quelle posizioni contestò tra l’altro in particolare l’ascesa di Toni Bisaglia, di cui non condivideva metodi e linea politica.
Gui dovette affrontare anche prove difficili, quando, ingiustamente tirato in causa nello scandalo Lockheed nel febbraio del 1976 si dimise immediatamente da Ministro dell’Interno, pur sapendosi totalmente innocente. Dovette aspettare il 1979 perché la Corte Costituzionale lo assolvesse con formula piena per non aver commesso il fatto.
Per capire il clima a cui fu sottoposto un uomo onesto vale la testimonianza di Mino Martinazzoli, che aveva presieduto la Commissione Inquirente: “Rivedo Gui vicino alla moglie, davanti all’ingresso di Montecitorio. Lo insultavano e la folla gli buttava le monetine. Ho un ricordo penoso nella memoria lontana: quel giorno fu l’epifania di una tendenziale disumanità della politica”.
Di fatto quella vicenda pose termine alla carriera politica di Gui, anche la scomparsa di Moro lo privò del suo principale riferimento politico. Luigi Gui seppe terminare comunque con dignità la sua lunga e operosa carriera politica. Nel 1983 accettò la candidatura nel collegio senatoriale di Padova, un collegio che tutte le previsioni davano perdente, ma Gui considerò suo dovere condurre la battaglia elettorale. In quelle elezioni la Dc conquistò nel Veneto ancora 14 deputati e 12 senatori.
Gui avrebbe ancora meritato una presenza in un collegio sicuro. Aveva in fondo 69 anni e avrebbe potuto dare ancora un apporto significativo alla iniziativa parlamentare del gruppo democristiano. Non si usava il termine inurbano di rottamazione, tuttavia il rinnovamento avveniva egualmente, ma fu una vera ingiustizia: di una parte consistente dei molti democristiani veneti eletti in quella occasione non restò traccia significativa a livello nazionale.
Ripensando alla sua lunga vita politica Luigi Gui così scriveva nel 1987: “esperienze, avvenimenti, e problemi sono ripensati dal punto di vista che vorrebbe essere quello di umanesimo consapevole, nello sforzo di cimentarne l’ispirazione cristiana con le concretezze della realtà quotidiana e delle vie da rimediare o da escogitare in essa al fine del bene comune”. Sono parole che possono applicarsi ad altri esponenti di quella generazione di cattolici che si trovarono a guidare la ricostruzione del paese e la sua rinascita economica, sociale e culturale, nel tentativo costante di tradurre una alta ispirazione ideale nella dura concretezza della vita politica.
Paolo Giaretta *
* Pdovano. Dal 1987 al 1993 sindaco di Padova. Nel 1996 è eletto senatore della Repubblica per la XIII legislatura. Riconfermato nel 2001 per la XIV legislatura, e nel 2006 eletto al Senato per la terza volta. Nelle elezioni del 13 e 14 aprile 2008 è nuovamente eletto senatore.